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Mario Draghi al centro vaccini anti Covid dell’aeroporto di Fiumicino

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Si lavora a un cambio di passo che annulli la demagogia della comunicazione e recuperi la stabilità delle cose che producono effetti rapidi riscontrabili. È esattamente il tentativo che si sta facendo con il nuovo decreto Sostegni che, a differenza dei precedenti Ristori, sta impiegando qualche giorno in più perché invece di sfornare i soliti 250 articoli che significa che nessuno vede niente per mesi e mesi, ci si vuole fermare a un massimo di 40/50. Perché la sfida è quella di varare “misure adeguate, proporzionate” e soprattutto, diversamente dal passato, di immediata esigibilità

LO STILE Draghi è quello di chi fa davvero il Presidente del Consiglio. Ha citato la protezione civile. Ha citato Figliuolo. Ha citato Speranza. Il senso è: noi stiamo lavorando. Sta lavorando una squadra. Una cosa molto breve, ma molto incisiva. Non ha fatto promesse, ha preso impegni. Abbiamo raddoppiato le somministrazioni, dobbiamo triplicarle. Sottinteso: correre, correre, correre. Sostegno all’economia. Misure adeguate e proporzionate con decreto legge. Nuovo scostamento di bilancio. Congedi parentali, contributo baby sitting (ma perché tutto questo inglese? Si chiede, anzi rimprovera a chi ha scritto il testo). Principio di sussidiarietà e dialogo governo-regioni, in quanto senza collaborazione si perde l’entusiasmo della battaglia comune.

Non è più aria di “andrà tutto bene” perché dopo un anno chiusi in casa, centomila morti, la più clamorosa distruzione di capitale della storia repubblicana, una bomba sociale a orologeria da disinnescare che vale cinque milioni di posti di lavoro a rischio, nessuno ha più voglia di sentirsi ripetere esortazioni che i fatti hanno smentito.

C’è ancora un piccolo, residuo spazio di concretezza e di credibilità sul quale Draghi mette la sua faccia e ci poggia il messaggio “di fiducia e di speranza” e la consapevolezza che per questo cambio di passo “abbiamo bisogno della fiducia di molti”.

Lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo oggi. La chiamano terza ondata, ma è peggio di marzo 2020 perché siamo davanti a una botta fortissima su un corpo sfibrato. Siamo oggi sull’orlo del baratro e di una rottura dell’unità nazionale che non si misura più solo nella abnormità del divario di reddito tra le due Italie, ma ancora prima in un fiume senza argini di nuove povertà che sono l’insidia più pesante per la tenuta civile del Paese. Coinvolgono strati sempre più larghi di un ceto medio che quella povertà non la ha mai conosciuta. I nuovi poveri non erano ricchi, ma si credevano ricchi. Con loro il processo di psicologia collettiva di rimozione collettiva dei problemi non funziona. Ha addirittura l’effetto contrario. Per questo bisogna correre, correre, correre, ma con un cambio di passo che annulli la demagogia della comunicazione e recuperi la stabilità delle cose che producono effetti rapidi riscontrabili.

È esattamente il tentativo che si sta facendo con il nuovo decreto Sostegni che a differenza dei precedenti Ristori sta impiegando qualche giorno in più perché invece di sfornare i soliti 250 articoli che significa che nessuno vede niente per mesi e mesi, ci si vuole fermare a un massimo di 40/50 articoli. Perché la sfida è quella di varare “misure adeguate, proporzionate” e soprattutto, a differenza del passato, di immediata esigibilità. La stessa, identica cosa dovrà avvenire per il Fondo di liquidità alle imprese se no va tutto per aria.

Avevamo chiesto al Presidente del Consiglio di parlare direttamente alla gente perché se vuole superare la prova che ha davanti a sé non basta il gradimento delle persone, ma serve la mobilitazione delle coscienze che lo aiuti a realizzare le cose. È esattamente quello che Draghi sta facendo e i risultati nell’opinione pubblica già si vedono. Per questo ci permettiamo di dare un altro piccolo suggerimento. Se non si vuole fare finta di fare qualcosa per risolvere il primo problema competitivo italiano che è il rilancio del suo Mezzogiorno, bisogna mettere su in quattro e quattr’otto una Centrale di progettazione sul modello di quella francese assumendo i migliori sul mercato e pagandoli a prezzi di mercato.

Perché se no al Sud si continueranno a scrivere lettere sempre più arrabbiate e a fare manifesti sempre più ricchi, ma non si potrà mai competere con il sindaco di Milano che viene a Roma e butta lì 600 progetti buoni, tutti finanziabili e realizzabili nei tempi stabiliti dal Recovery Plan.

Non è più tempo di battaglie Milano-Napoli, ma di fare ripartire l’Italia. Diamo al Sud progettisti di qualità perché l’alibi delle incapacità non regge alla prova storica del nuovo ’29 mondiale italiano. Il governo della Repubblica e Capi e capetti delle clientele meridionali sono avvertiti.


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