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Militari impegnati nelle indagini

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POTENZA – E’ credibile il racconto della moglie di Donato Abruzzese, quando dice di aver visto l’assassino di suo marito, Dorino Stefanutti, scendere dalla mini auto con una pistola in pugno. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile 2013.
Lo ha stabilito, in via definitiva, la Corte di cassazione che agli inizi di febbraio ha confermato la condanna a 18 anni di reclusione per il 62enne pregiudicato potentino.

I giudici hanno respinto un’ultima volta la tesi della legittima difesa sostenuta dagli avvocati Maria Rita Di Ciommo e Salvatore Staiano, per cui il loro assistito, Stefanutti, sarebbe arrivato sotto casa di Abruzzese, in via Vienna, disarmato. Quindi avrebbe sottratto la pistola di un amico dell’imprenditore facendo fuoco con quella.

Fondamentale, sul punto, si è rivelata la conferma delle dichiarazioni della moglie di Abruzzese, che è stata risentita dalla Corte d’assise d’appello di Salerno nel processo bis sull’omicidio. A novembre del 2017, infatti, una prima pronuncia della Cassazione aveva criticato il silenzio dei giudici potentini sull’assenza di riferimenti alla pistola impugnata da Stefanutti nei verbali con le prime dichiarazioni rese dalla donna agli investigatori. Pistola che sarebbe comparsa soltanto in un terzo verbale, sempre del giorno successivo al fattaccio ma a distanza di diverse ore dagli altri.

«Era scioccata dalla tragica morte del marito e (…) non aveva avuto specifiche domande sul punto dagli inquirenti». Questa la giustificazione del “buco” nei primi due verbali espressa dalla Corte d’assise di Salerno e avvalorata dalla Casssazione. Assieme a una considerazione sul fatto che al 30 aprile, «quando furono rese le prime due dichiarazioni, prive del particolare che Stefanutti era armato, e la terza, contenente tale particolare», la circostanza in questione. Ovvero: «non rivestiva importanza decisiva a sostegno della tesi accusatoria (tanto da poter essere ritenuta così rilevante), essendo obiettivo dell’investigazione l’individuazione fisica del responsabile della sparatoria». Mentre sarebbe diventata importante dopo l’arresto di Stefanutti e le sue dichiarazioni sulla legittima difesa.

La Cassazione ha raccolto i rilievi della Corte d’assise di Salerno anche sull’inattendibilità delle dichiarazioni a favore di Stefanutti rese da un altro pregiudicato potentino, Gianfranco Siesto, che nel frattempo è deceduto. Inattendibilità che sarebbe dimostrata dal dato dei tabulati telefonici agganciati dal cellulare di una dipendente di Abruzzese, che Siesto, invece, aveva collocato sulla scena del crimine.

I giudici hanno ritenuto irrilevante, infine, anche la perizia per cui i colpi che hanno ucciso Abruzzese sarebbero stati esplosi da un’arma diversa dalle tre rinvenute, il giorno dopo l’omicidio, sulla scena del crimine. Avendo accertato, tramite la dichiarazione della vedova dell’imprenditore, che qualche che fosse la pistola utilizzata Stefanutti l’aveva portata con sé sotto casa della vittima.
l.a.

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