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Alcuni degli operai della ditta Giuzio impiegati nell’impianto di Viggiano

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POTENZA – Immaginate se, da un giorno all’altro, si dimettessero in massa gli operai della ditta Giuzio. Sono 58, dislocati su nove aree industriali. Sono addetti alla depurazione delle acque. Quelle che scarica Eni a Viggiano, nei pressi del Centro Oli. Quelle che servono Stellantis a Melfi o Ferrero a Balvano.
Sarebbero dimissioni per giusta causa: non hanno avuto la tredicesima e i loro stipendi sono fermi a novembre. Ora, con un contratto in tasca che vale ben poco, sono costretti a continuare a lavorare, sono un servizio essenziale, di quelli che non puoi dire: non mi paghi? Non vengo più.

Svolgono un servizio essenziale ma, evidentemente, essenziale non è ritenuta la loro esistenza se nessuno si preoccupa del fatto che da quattro mesi, nelle case di questi operai, non arriva un euro. Ma se si dimettessero sarebbero nel giusto: nessuno potrebbe costringerli a spendere quegli ultimi 10 euro in benzina per raggiungere il posto di lavoro. Nessuno potrebbe avanzare alcun diritto. Avrebbero accesso alla disoccupazione, qualcuno forse, approfittando di qualche scivolo, sarebbe traghettato alla pensione: qui sono tutti grandi, dai 55 in su.

Si fermerebbero però le aree industriali. E la Basilicata, che da poco ha stretto accordi per l’ampliamento della Ferrero di Balvano, farebbe di nuovo la sua bella figura: una regione che non è in grado, anche quando le aziende vengono e vogliono investire, di riuscire a garantire le condizioni minime per operare.
E non si farebbe neppure bella figura con Stellantis, ai cui vertici l’assessore alle Attività produttive Francesco Cupparo si è rivolto nelle scorse settimane perché investano di più su questa regione.
Ma a quali condizioni? Cosa ci guadagna un’azienda che voglia investire in Basilicata se neppure ha la garanzia di un impianto di depurazione funzionante e attivo?

Non pensate che questa prospettiva sia così lontana dalla realtà. Perché i lavoratori della ditta Giuzio è anche a questa eventualità che stanno pensando. Perché quando a casa ti manca il minimo indispensabile, quando la banca ti chiama perché sei pieno di debiti, quando in famiglia ti accusano di non riuscire a portare la spesa, allora si raggiunge il punto più basso. E la disperazione prende il sopravvento.
Chiariamoci: il caso Giuzio non è che sia proprio una novità. Saranno 25 anni che gli operai si ritrovano periodicamente a dover manifestare per avere uno stipendio.

«Il rischio d’azienda – spiega Giovanni La Rocca della Fim Cisl – la Giuzio srl non sa cos’è: l’impresa non anticipa nulla, non ci pensa neppure. E dice ai dipendenti: quando l’Asi pagherà me io pagherò voi».
Il problema è che il Consorzio Asi di Potenza, nei fatti, non esiste più. Dopo un lungo tira e molla che ha portato anche alle temporanee dimissioni dell’assessore Cupparo, in consiglio è passata una legge di riforma che mette insieme il Consorzio di Potenza e quello di Matera. Ma il Consorzio di Potenza ha una debitoria notevole «e ci aspettavamo la nomina del liquidatore, con il quale magari poter iniziare una seria interlocuzione. Se venisse nominato in questi giorni, ci sarebbe il passaggio ad Acquedotto lucano e magari, entro il 15 aprile, almeno lo stipendio di marzo potremmo prenderlo. Ma la politica forse non ha compreso che qui la situazione è davvero grave e i tempi continuano ad allungarsi».

Gli operai non sono più dei ragazzini. Lavorano in quest’azienda da più di 30 anni, con una paga che è rimasta di 1.200 euro mensili. Non parliamo quindi di stipendi così alti che ti permettono, in caso di ritardo, di poter resistere alle esigenze che tutti abbiamo in casa. Sono stipendi da sopravvivenza, che se non arrivano ti mettono per strada.
Giovanni La Rocca della Fim Cisl e Giovanni Galgano della Uilm stanno seguendo da vicino questa situazione, preoccupati per quello che potrebbe accadere. Nei giorni scorsi, nell’area industriale di Baragiano, uno degli operai ha minacciato di suicidarsi, lanciandosi da una colonna su cui era salito.

«Qui la situazione è drammatica – dice Giuliano Latronico, delegato rsa della Fim Cisl – ma le istituzioni non sembrano accorgersene. Gestiamo siti sensibili, siamo essenziali per il funzionamento delle aziende ma anche per la salvaguardia dell’ambiente. A Viggiano, per fare un esempio, noi siamo quelli che impediscono che le sostanze inquinanti che arrivano dal Centro Oli passino nella diga del Pertusillo. E’ essenziale il servizio, certo. Ma anche le nostre vite lo sono. E invece è diventato un lavoro capire come tirare avanti anche oggi e poi domani. Ma in questo quadro di incertezza totale noi non riusciamo a vedere la luce. Sappiamo già che anche marzo andrà ad aggiungersi alle mensilità finora non pagate: ma quanto potremo reggere noi? Ce lo dice il prefetto o il presidente Bardi? O loro devono solo dirmi che questo servizio è essenziale e tu non lo puoi abbandonare? Dobbiamo arrivare al punto che ci dobbiamo far venire a prendere a casa dai carabinieri, perché i soldi per la benzina noi non ce li abbiamo più?».

Il servizio è essenziale – dice la legge – «e noi siamo ostaggio di questo servizio ma qui c’è una scaletta di impegni che, nei nostri confronti, viene continuamente disattesa. In questo lungo periodo di emergenza – sottolinea Rocco Pagano, delegato della Uilm – nonostante tutto noi siamo sempre stati presenti per non bloccare la produzione industriale. Perché se ci fermiamo noi si fermano tutti. Ma lo stipendio a noi serve per vivere, abbiamo delle famiglie anche noi da mantenere».

A lavorare si deve andare ogni giorno, «ma andiamo a passaggi – dice uno degli operai – perché noi i soldi per muovere le macchine non li abbiamo». Lo stesso operaio, pochi mesi fa, si è incatenato davanti alla sede dell’Asi per sbloccare questa infinita vertenza. Eppure la situazione è sempre la stessa, da decenni. Solo che – dicono a quattro mensilità più la tredicesima, «non ci siamo mai arrivati».

E lo sconforto arriva a tal punto da far pensare al peggio: «Forse – dice uno di loro – se mi tolgo la vita almeno a mia moglie arriva la pensione. E forse tornerà a parlarmi, ora non posso neanche andare a fare la spesa».
E se siamo arrivati al punto in cui la pensione sembra valere più della vita, è evidente che c’è un serio problema in questa regione. Un problema che non può più essere rinviato aspettando le lungaggini burocratiche.

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