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Non è una sensazione piacevole quella di vivere un déjà vu esattamente un anno dopo l’inizio del lockdown. Non deve esserlo soprattutto per chi credeva che le restrizioni adottate dall’allora premier Conte sarebbero durate poco tempo.
E invece oggi, trecentosessantacinque giorni dopo e con un nuovo governo, il virus circola ancora e la misura di contrasto che sembra andare più di moda è sempre quella delle chiusure.
LE NOVITÀ IN VISTA
Il primo Dpcm di Draghi, in vigore dal 6 marzo, rischia già di dover essere cambiato in termini più severi. È questa l’indicazione che ha dato il Cts (Comitato tecnico-scientifico) all’esecutivo nella riunione di ieri mattina. L’idea è che il sistema dei colori non sia più sufficiente, di qui la proposta del modello del Natale scorso, con una modulazione tra l’arancione nei giorni feriali e il rosso in quelli festivi e prefestivi.
Restano sul tavolo anche le ipotesi di anticipare l’inizio del coprifuoco (alle 20 più che alle 19) e far scattare un lockdown generalizzato se si dovessero superare i 30mila contagi al giorno. In ogni modo, l’obiettivo è raggiungere i 50 casi per 100mila abitanti in sette giorni, che è considerata la soglia minima per poter riprendere il tracciamento dei contatti dei positivi.
Ma c’è di più: gli esperti avrebbero proposto anche un meccanismo che faccia scattare automaticamente la zona rossa laddove si superino i 250 casi su 100mila abitanti in sette giorni. Questo strumento eclisserebbe il decisionismo dei presidenti regionali, i quali attualmente possono varare i passaggi in zona rossa a propria discrezione.
L’IRA DEI GOVERNATORI
Il governo appare intenzionato a recepire entro pochissimi giorni le indicazioni del Cts: la notizia che circola insistentemente è che già dal prossimo fine settimana dovrebbe essere in vigore una nuova stretta. Ma intanto tra i presidenti regionali c’è chi non ci sta. Il Messaggero riferisce che essi «non sembrano disposti a farsi sfilare le competenze ricevute di recente in materia di chiusura».
In attesa di un incontro con il governo per stabilire insieme il peso dell’inasprimento delle nuove norme, qualcuno di loro si è già esposto. Come il veneto Luca Zaia. «Mi è difficile commentare – sono le sue parole riprese da Il Giornale.it -Di certo il Cts in questa fase non scrive provvedimenti per il Veneto, perché la situazione è molto diversa da quando ci davano degli appestati».
NORMALITÀ TRA 7-15 MESI
Mentre monta la polemica e ci si chiede cosa sia davvero necessario per lasciarsi alle spalle la pandemia, una risposta prova a darla Gianni Rezza, direttore della prevenzione del ministero della Salute. «Abbiamo di recente messo a punto con l’Istituto superiore di sanità e la Fondazione Bruno Kessler un modello matematico per capire quando potremo tornare a una pseudo-normalità – ha detto Rezza nell’audizione in commissione Igiene e sanità del Senato sui vaccini anti-Covid – Se assumiamo che il vaccino protegga dall’infezione e che la somministrazione protegga almeno per 2 anni, vaccinando 240mila persone al giorno riusciremo in 7-15 mesi a tornare alla normalità».
Rezza ha dunque spiegato che è opportuno aggiornare le indicazioni sulle categorie da vaccinare, «in particolare – ha detto – penso ad esempio ai genitori di bambini immunodepressi, che dovranno avere una priorità nelle vaccinazioni. Così come agli ospiti delle comunità, come quelle per i malati di mente e dei portatori di handicap».
Rezza ha dunque fatto eco alle parole del presidente Draghi: velocizzare la campagna vaccinale è indispensabile.
PIANO VACCINALE
Ma intanto sul fronte dell’approvvigionamento delle dosi, ieri è arrivata un’altra doccia fredda all’Unione europea. Come riporta l’agenzia Reuters, la Johnson & Jonhson avrebbe annunciato di non poter garantire la consegna di 55milioni di dosi del suo vaccino entro il secondo trimestre dell’anno. Il vaccino in questione, ambito perché efficace in una sola dose, dovrebbe essere approvato dall’Ema domani, 11 marzo.
Nei giorni scorsi l’azienda statunitense si era impegnata a fornire 200milioni di dosi all’Unione europea. Ma ora questo inopinato annuncio complica i piani. E arriva nel giorno in cui l’Ocse richiama l’Europa sui vaccini suggerendo di produrre «molto più velocemente».
Sembra aderire a questo appello l’accordo che l’azienda brianzola Adienne ha stipulato per produrre lo Sputnik V dal luglio prossimo. Il vaccino russo, tuttavia, non ha ancora ricevuto l’approvazione dell’Ema.
IL BOLLETTINO
A proposito di vaccini, ieri allo “Spallanzani” di Roma ha ricevuto la sua prima dose di Moderna Sergio Mattarella (LEGGI). Il capo dello Stato si unisce agli oltre 5milioni e 600mila italiani ad averla ricevuta. Sempre ieri si è registrato un aumento dei contagi (19.749 contro i 13.902 di lunedì), ma il tasso di positività è sceso dal 7,5% al 5,7% (LEGGI IL BOLLETTINO NAZIONALE).
I decessi salgono da 318 a 376, mentre ci sono 56 pazienti in più di lunedì in terapia intensiva (totale 2.756) e 562 quelli nei reparti ordinari (totale 22.393). I guariti sono stati 12.999.
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