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La Casa alloggio per anziani di Marsicovetere

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POTENZA – «Una vera e propria strage» con 22 anziani morti, e ben «pochi sopravvissuti». Il tutto come conseguenza della «dissennata» gestione sanitaria della casa alloggio per anziani di Marsicovetere.
E’ questa l’accusa per cui da ieri mattina sono in carcere i due gestori della casa di riposo «Ramagnano Nicola» di Marsicovetere, al centro dell’inchiesta «Casa covid» condotta dai Nas, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo lucano.

I dettagli dell’inchiesta sono stati presentati ieri a Potenza dal procuratore capo Francesco Curcio, e dai due magistrati titolari del fascicolo, il procuratore aggiunto Maurizio Cardea e il pm Annagloria Piccinini, assieme al comandante del gruppo carabinieri per la Tutela della salute di Napoli, il tenente colonnello Vincenzo Maresca.

Nicola Ramagnano (50) e la sua socia Romina Varallo (45) sono indagati, formalmente, per cooperazione in epidemia colposa e 22 casi di omicidio colposo.
Agli atti, in realtà, risulta un’ulteriore imputazione a carico del solo Romagnano per circonvenzione di incapaci, ma è la strage dei 22 nonni al centro di tutto. Quello che secondo gli investigatori è il primo caso in Italia in cui si riesce a dimostrare il di nesso di causalità tra delle condotte negligenti e la morte per coronavirus di alcuni anziani.

La vicenda risale alla fine di settembre dell’anno scorso, quando in seguito alla morte di una prima anziana ospite della struttura, in piena seconda ondata covid, i Nas hanno avviato le indagini.
Nei giorni successivi, mentre dalla casa alloggio venivano portati fuori cadaveri di anziani che non sarebbero dovuti essere lì (alla fine la conta dei morti si sarebbe fermata a 17), è bastato poco per comprendere che in quella casa di riposo – già controllata nella prima ondata – la situazione fosse completamente sfuggita di mano.

E non è passato inosservato nemmeno il trasferimento «truffaldino» in un’altra struttura di uno degli oltre 20 ospiti non dichiarati della casa alloggio di Marsicovetere, che era autorizzata per 22 posti letto. Perché è proprio questo trasferimento che avrebbe portato il contagio all’interno della casa di riposo «San Giuseppe» di Brienza, gestita dalla Suore missionarie catechiste del Sacro Cuore, dove poi è scoppiato un altro focolaio con 5 morti.

Pur di «ottenere profitto, al di là dell’immaginazione», in una «struttura assolutamente inadeguata» e sovraffollata, Ramagnano e Varallo avrebbero risparmiato «su tutte le più elementari procedure anti-covid».
Questo il teorema degli inquirenti e del gip che ha firmato la misura cautelare, Teresa Reggio.
A suo avviso infatti, per i due indagati gli anziani sarebbero stati «solo e soltanto una insostituibile fonte di guadagno da spremere, in qualsiasi modo, fino all’ultimo respiro vitale, privandoli delle scarse risorse economiche in cambio di una assistenza che non fornivano e che, anzi, si traduceva nella mera accelerazione della loro morte».

I Nas hanno anche appurato che, «nonostante la pandemia fosse in corso», nella struttura entrava «chiunque, anche parenti con tosse o febbre». Scoperta poi la «sistematica falsificazione» dei registri di entrata e uscita degli anziani.
E poi il solo Ramagnano è pure accusato di circonvenzione di incapaci perché, in un caso, avrebbe approfittato dello stato di infermità di un anziano ospite, «inducendolo» a firmare «atti dispositivi del proprio patrimonio (una casa e due terreni, per un totale di circa quattromila metri quadrati) in suo favore».
A Ramagnano e alla socia Varallo, dopo il sequestro della casa di riposo di Marsicovetere avvenuto il 2 ottobre, pochi giorni dopo i primi decessi, viene contestato, infine, di aver «attivato abusivamente altre due strutture di accoglienza». Ma sono state individuate e immediatamente chiuse dai Nas.

«Gli indagati – scrive il gip nell’ordinanza di misure cautelari – non hanno esitato a porre in essere le gravi condotte delittuose loro rispettivamente ascritte approfittando dello stato di debolezza dei soggetti affidati alle loro cure dimostrando a dispetto della formale incensuratezza una allarmante predisposizione al crimine evidentemente considerato quale valido sistema per ottenere facili guadagni».

Il giudice ha evidenziato nei loro confronti anche il rischio di inquinamento delle prove poiché «nonostante le indagini in corso tentavano di ridimensionare la loro posizione attraverso l’alterazione del registro delle presenze» e la fabbricazione ex novo di un protocollo di sicurezza anti contagio per la casa alloggio.

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