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Il governatore lombardo Attilio Fontana

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La Lombardia un anno dopo l’esplosione della crisi pandemica si prepara a rivivere lo stesso film. La zona rossa totale incombe, così come un’altra potenziale strage. Nella primavera 2020 20mila lombardi hanno perso la vita a causa di un contagio preso sottogamba.

Il primo ad accorgersi che non si trattava di una semplice influenza fu proprio Attilio Fontana. Il governatore lombardo si mise in isolamento e fu sbertucciato tanto dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, quanto dal sindaco Giuseppe Sala. Quella è stata l’ultima scelta azzeccata da Fontana. Da lì in poi la caporetto è stata totale: un errore dopo l’altro, una regione una volta famosa per la sua efficienza e il livello della sanità è diventata sinonimo di incapacità amministrativa.

Nonostante i morti e nonostante un sistema ancora in panne: le vaccinazioni sono al palo, come ha ammesso Guido Bertolaso. Il sistema non funziona proprio a partire dalla piattaforma online di Aria spa, la centrale acquisti regionale: è costata 22 milioni di euro, ma Letizia Moratti, assessore al Welfare e vicepresidente, ha deciso di abbandonarla per una struttura che sarà messa a disposizione da Poste Italiane. L’ultimo di una lunga serie di disastri gestionali.

All’inizio l’impreparazione era totale, perché tutti avevano sottovalutato il Sars-Cov-2: per assurdo proprio il fatto che negli ultimi tre anni si fossero manifestate ondate di polmoniti particolarmente forti ha aiutato l’espansione del coronavirus. Nelle zone di Bergamo e Brescia già dal 2019, come ha raccontato il Quotidiano del Sud, si erano registrati picchi più violenti di polmoniti.

Ma erano derubricati a effetti della legionella o altre malattie di fatto da sempre presenti nel territorio tra Milano e le Alpi. Così quando è esploso il Covid, all’inizio nessuno si è allarmato più di tanto. Poi hanno iniziato a circolare i modelli matematici e pian piano anche i politici lombardi si sono allineati a Fontana. Ed è partita la corsa per cercare mascherine e camici. Ma la foga di reperire materiali che non c’erano ha creato un caos ancora più intenso.

Arrivarono scatoloni vuoti, altri non furono nemmeno consegnati. E in quel caos persino lo stesso Fontana finì nei guai: è la vicenda della famosa fornitura da mezzo milione di euro per camici da ospedale. A comprarli era sempre Aria, ma a venderli era la Dama, società della moglie e del cognato di Fontana. Per tentare di metterci una pezza l’ordine fu trasformato in donazione e il governatore tentò di risarcire i parenti pagando di tasca propria 250mila euro. Peccato che il bonifico partì dal suo conto milionario in Svizzera allertando in un colpo l’anticorruzione della Banca d’Italia e i magistrati ancora alla caccia dell’ormai mitologico tesoro leghista da 49 milioni.

Intanto il contagio esplodeva nelle rsa e in tutta la regione, mentre gli industriali continuavano a sostenere la necessità di non fermare la Lombardia e gli ospedali privati come il San Raffaele registravano ricchi affari grazie alle inefficienze del sistema pubblico: mentre era diventato quasi impossibile essere visitati e sottoposti a tampone gratuitamente, come prevede la legge, il San Raffaele offriva visite a domicilio a 450 euro a botta.

Una scelta legittima, ma allo stesso tempo messa al centro delle critiche perché era l’immagine di dieci milioni di persone che pagano le tasse per un servizio sanitario di cui non godono. Ma è il sistema lombardo che nei decenni ha smantellato la sanità di territorio, una scelta che di fatto ha favorito i baroni della sanità come i Rotelli.

Persino le decine di milioni di euro raccolti come donazioni dai lombardi furono sprecati per costruire l’ospedale in Fiera: da subito tutti i medici spiegarono che era inutile una cattedrale nel deserto, semmai bisognava seguire l’esempio degli alpini a Bergamo che avevano costruito padiglioni provvisori in più di fianco all’ospedale esistente. Ma niente, Regione entrava in quel momento nella fase di non ascolto. Guido Bertolaso, chiamato a spendere quei soldi (il dettaglio dei conti non è mai stato pubblicato), insultava i medici che lo criticavano.

E dopo la primavera gli errori si sono aggravati. In estate prima sono stati silurati i vertici di Aria spa su cui sono state scaricate tutte le colpe. Poi la Regione invece di prepararsi alla seconda ondata, ha pagato i direttori sanitari per chiudere i reparti Covid aperti in fretta e furia qualche mese prima. Così in autunno la situazione si è ripresentata uguale: reparti che si riaprivano in fretta e furia e indici di contagio e di morti che si impennavano.

Ma in Regione ormai si era fatto strada il leggendario “attacco alla Lombardia”. Qualunque errore, era colpa di Roma. E di Giulio Gallera, ex assessore al Welfare silurato dalla Lega come capro espiatorio.

E si arriva all’autunno inverno, quando invece di ammettere i propri errori, Fontana si presentò in una singolare conferenza stampa in cui con i suoi tecnici sostenne che la Lombardia non doveva entrare in zona rossa perché c’era un errore tecnico dell’Istituto superiore di sanità. Ma non spiegarono quale, nonostante le domande dei giornalisti. Era tutta colpa del presunto attacco alla Lombardia, linea sostenuta anche dal neo assessore al Welfare Moratti.

Che a sua volta ha silurato i tecnici nominati da Gallera appena qualche mese prima e poi ha iniziato a presentare piani vaccinali. Continua a proporli, spiegando che se falliranno è colpa di Roma. Come in un eterno giorno della marmotta i lombardi sembrano condannati a rivivere lo stesso film del 2020: errori su errori e morte. Senza nemmeno una scusa da chi è in cabina di regia.


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