5 minuti per la lettura
SIDERNO (Reggio Calabria) – «Donato Giordano per uccidere non ha mai avuto dei soldi, ha fatto tutto di sua spontanea volontà, non si era venduto, anzi io gli avevo detto di tornare a fare il carabiniere». Queste le parole del pentito Giuseppe Costa, riferite ai pm e ribadite due giorni fa in video conferenza nell’aula della Corte d’Appello di Reggio Calabria. «Donato Giordano non aveva alcuna disponibilità economica, almeno non aveva grosse somme di denaro che io potessi vedere». Queste invece le dichiarazioni della convivente di Donato Giordano rilasciate nel 1996 davanti alla Corte d’Assise di Locri durante il processo “Siderno Group”. E ancora la convivente: «Ho saputo della scomparsa di Donato Giordano a settembre del ’91». Due testimoni un punto in comune e molti misteri: il carabiniere Donato Giordano non era un assassino per soldi. E allora perchè decise di diventare il prezzolato e infallibile killer della famiglia Costa? Come è possibile che in un incendio in cui, come descritto dalle perizie medico-legali, “i corpi delle vittime si sono fusi al metallo dell’auto in fiamme, si salvi un tesserino di plastica? E perchè nessuno ha creduto alla convivente di Giordano che raccontò che il suo uomo smarrì documenti d’identità e tesserino militare diversi giorni prima della scomparsa? Come è possibile che la convivente dell’uomo apprenda della sua scomparsa due mesi dopo la presunta morte? E soprattutto perchè non si è dato peso al racconto dei colleghi di Giordano che diversi mesi prima della sua scomparsa sapevano delle vesti di spietato assassino del carabiniere che, il 17 luglio del 1991, giorno della sua morte, avrebbe dovuto commettere un omicidio a Locri? Domande che oggi non hanno ancora una risposta come non c’è certezza sulla reale fine di Donato Giordano. Giuseppe Costa, il pentito che sta ricostruendo un ventennio di alleanze criminali, della Locride e non solo, parla dei suoi killer, ha raccontato ai magistrati della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria tutti i particolari degli omicidi e delle esecuzioni organizzati dal suo gruppo durante la guerra di mafia che ha visto la famiglia Costa entrare in una vera e propria faida contro i Commisso. Nei verbali del collaboratore di giustizia ci sono nomi cognomi di persone a lui vicine e degli uomini assoldati per compiere attentati e delitti. Tra loro c’era il carabiniere Donato Giordano, il cui corpo è stato rinvenuto carbonizzato su una Lancia Thema in fiamme il 17 luglio del 1991. Ma su quella morte ancora oggi aleggia un mistero lungo 22 anni, la scomparsa di Giordano è il primo grande mistero della faida di Siderno, che tra le vittime cadute tra il 1987 e il 1991 annovera anche due “lupare bianche” e il corpo carbonizzato, e mai scientificamente identificato, del barese Donato Giordano. Sui resti rinvenuti sulla Lancia Thema di colore verde non è mai stato fatto il riscontro del dna per accertare che il corpo fosse del carabiniere killer, ma soprattutto dai verbali e dalle testimonianze dell’epoca emergono particolari che tingono sempre più di giallo la fine di Giordano, uomo con la divisa ma assoldato quale spietato assassino del clan Costa di Siderno durante la faida. Dagli atti oramai impolverati del processo “Siderno Group” saltano fuori relazioni, perizie e ricostruzioni che lasciano a tutt’oggi un vera voragine giudiziaria intorno alla figura di Donato Giordano. Intanto spuntano le dichiarazioni di una delle donne del carabiniere che nel 1996 racconta ai giudici della Corte d’Assise di Locri di avere appreso della scomparsa del suo convivente Donato Giordano solo due mesi dopo la presunta morte del carabiniere. Appare quanto meno illogico che una donna, amante di Giordano e per questo abituata a sentirlo e vederlo spesso, venga a conoscenza della morte del suo uomo solo mesi dopo il fatto, un fatto che tra l’altro è balzato agli onori della cronaca nazionale per la crudeltà e l’efferatezza del crimine di cui Giordano sarebbe stato vittima.
TI potrebbe interessare
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA