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REGGIO CALABRIA – Sgominato un cartello di imprese creato dalla cosca, grazie al quale venivano imposte le forniture di beni e servizi a società sane e pulite della città di Reggio Calabria. I finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria, i carabinieri del comando provinciale e gli uomini del centro operativo Dia, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria stanno eseguendo l’arresto di due noti imprenditori di Reggio Calabria, Giuseppe e Barbara Crocè, padre e figlia, e sequestrando beni, in Calabria, Lombardia e nel Lazio, per un valore di circa 30 milioni di euro.
Gli imprenditori secondo l’accusa sarebbero collusi con la potente cosca Tegano. I sigilli sono stati apposti a numerose attività commerciali, con relativo patrimonio aziendale.
L’inchiesta è la prosecuzione dell’operazione che, nel luglio scorso, aveva portato all’arresto dell’ex consigliere comunale di centrodestra di Reggio Calabria Dominique Suraci, ritenuto dagli inquirenti il referente della cosca Tegano nel settore della grande distribuzione alimentare e l’interlocutore politico del clan.
Le indagini di Dia, coordinate dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino e dal pm della Dda Stefano Musolino, hanno portato ad affermare che Crocè e la figlia Barbara avrebbero tenuto fede ai patti assunti nel settore della grande distribuzione alimentare da Suraci con i Tegano attraverso contratti di fornitura con imprese riconducibili alle singole cosche cittadine: dal pane alla frutta e verdura, dalle bevande ai prodotti lattiero-caseari, dai tabacchi alle uova. Imprenditori che, per la Dda reggina, hanno lavorato sotto la protezione delle più importanti cosche di Reggio riuscendo così ad accaparrarsi enormi fette di mercato e accumulando patrimoni con modalità illecite. Tra i beni sequestrati figurano anche attività commerciali riconducibili, secondo l’accusa, a Suraci, che in alcuni casi erano «schermate» da società fiduciarie anche di diritto estero.
Secondo gli investigatori il controllo, da parte dei Tegano, di queste società dimostra, «ancora una volta, quanto la ‘ndrangheta sia forte ed in grado di infiltrarsi in attività economiche lecite, essenziali per l’economia cittadina». Un’aggressione all’economia legale avvenuta, sostengono ancora gli investigatori, «grazie al ruolo di soggetti che non sono mafiosi ma che con la mafia stringono patti collusivi, la cosiddetta “zona grigia”, e che prestano le proprie capacità professionali ed imprenditoriali all’affermazione ed alla realizzazione degli interessi criminali». Ed in questo contesto l’utilizzo del sistema dei trust «è un chiaro segnale del salto di qualità della criminalità organizzata calabrese».
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