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di PASQUALINO RETTURA
LAMEZIA TERME «Mai potevo immaginare di aver sposato un assassino. Accanto a me evidentemente c’era un attore. Ma ora voglio rifarmi un’altra vita ed ho già chiesto l’annullamento del matrimonio». Rossella Curcio, 23 anni, sposata da due anni con Francesco Vasile, killer spietato della cosca Giampà pentitosi a novembre scorso, accusato dai pentiti di essere stato il sicario infallibile della cosca Giampà, svela al Quotidiano della Calabria cosa sta vivendo da quando ha scoperto che suo marito (per lei ormai ex) «aveva una doppia vita». Fine del sogno di avere una casa insieme al suo Ciccio (la stavano costruendo con tanti sacrifici), di mettere su famiglia con l’uomo che amava. 
Un incubo per Rossella da tre mesi a questa parte, quando Vasile è stato arrestato e quando si è pentito autoaccusandosi.  Agiva su ordine diretto di Giuseppe Giampà, ex padrino, pentitosi pure lui a settembre scorso, ammettendo che il suo killer di fiducia era Francesco Vasile, detto “Ciccio rapina”, che l’ex padrino aveva voluto con se anche come dipendente della sua ditta GT distribuzione. Questo era Vasile, per sua stessa ammissione, ma la giovane moglie, secondogenita di una famiglia umile dove l’unico credo è il lavoro onesto per guadagnarsi da vivere e fare una vita dignitosa (il papà fa il giardiniere e la mamma la casalinga) giura che era all’oscuro di tutto. «Non abbiamo avuto figli, l’ho conosciuto cinque anni fa. Una persona normalissima, mi sono innamorata sposandolo dopo 3 anni di fidanzamento». Rossella ricorda che «la sua è una famiglia perbene, il padre è un geometra, ha due fratelli che lavorano e sono rimasti qui dopo il suo pentimento. E quando l’ho conosciuto nel 2008 (Vasile sarebbe già stato l’esecutore materiale di tre omicidi) lavorava in una ditta di movimento terra, poi andò a lavorare con Giuseppe Giampà. Tutti i suoi amici sono venuti al matrimonio ma non sapevo chi fossero, lui mi diceva che erano amici suoi. Non mi sono accorta di nulla anche perché avevamo giusto i soldi per vivere. Anzi, spesso lui era senza soldi e più di una volta glieli davo io. Mi disse che in passato aveva avuto dei problemi con la giustizia per una rapina di cui è stato assolto. E basta». 
Solo piccoli sospetti per Rossella. Che racconta: «solo qualche volta gli ho detto che però questi suoi amici non mi piacevano, ma lui mi tranquillizzava sempre dicendomi che erano persone normali, come noi. Lui era scherzoso, solo ultimamente era un po’ cambiato». Esattamente dal 28 giugno in poi quando ci sono stati gli arresti dell’operazione Medusa. Un giorno, come altri che seguirono, che Rossella non dimenticherà mai. «Alle 4 di mattina i poliziotti sono venuti a casa per un avviso di garanzia, lui infatti era indagato e non è stato arrestato. Mi disse di stare tranquilla che sicuramente avevano sbagliato persona. Poi usciva sui giornali il suo nome fatto dai pentiti che lo accusavano degli omicidi, ma lui non mi è sembrato preoccupato, anzi andava sempre dall’avvocato per smentire le dichiarazioni dei pentiti, ma l’avvocato non ha mai smentito». 
E nemmeno poco dopo le esecuzioni Vasile non faceva capire nulla: «Ricordo che la sera dell’omicidio del campo di calcetto era tornato tranquillamente a casa di mia madre per la cena. Era molto tranquillo. Il giorno dopo leggendo i giornali commentavamo l’omicidio e lui diceva “chissà chi è stato” ma non lasciava capire nulla a me e alla mia famiglia». 
Dice che «di Angelo Torcasio non aveva tanta preoccupazione perchè mi disse che era un pentito non credibile, poi quando ha saputo del pentimento di Giuseppe Giampà ha lasciato subito il lavoro, la sera non voleva uscire mai, non siamo mai andati al mare, cercava sempre scuse per non uscire. Stava sempre in casa. Ogni tanto aveva degli scatti nervosi. Quando ho visto le foto degli arrestati sui giornali gli ho detto che quelli erano gli amici suoi, quelli che sono venuti al nostro matrimonio e Giampà dove lui lavorava. Mi rispose che lui non sapeva che questi facessero queste cose ed io l’ho sempre creduto». A settembre succede che Giuseppe Giampà si pente e Rossella ha ancora nella mente cosa gli disse il suo uomo: «dopo qualche giorno decise che voleva andare a cercare lavoro a Novara dove c’è mia sorella, mentre io sono rimasta a Lamezia in attesa che lui trovasse lavoro. Il giorno a Novara portava curriculum, poi il 14 ottobre vado io perché il 15 era il suo compleanno, la mattina del 17 ottobre lo arrestano a Novara». Rossella racconta che «quella mattina non ero a casa a Novara, mi chiama mio cognato e mi dice di venire a casa che c’era la polizia che mi doveva interrogare, ma invece trovo lui con il borsone pronto per andarsene con la polizia che lo aveva arrestato. Chiedo spiegazioni ma lui ancora negava. Il giorno dopo però sui giornali leggo di che cosa era accusato e resto a Novara. Mi è crollata il mondo addosso, soprattutto poi quando ho saputo tutto dal suo stesso pentimento». 
Poi la decisione di lasciare Ciccio: «Ma di che cosa, mi chiesi, dovevo preoccuparmi se lui mi ha sempre detto di non aver fatto nulla? A quel punto non ho più avuto colloqui con lui fino a qualche giorno prima di Natale quando in carcere gli ho comunicato la mia decisione di lasciarlo. Lui non era d’accordo, mi diceva di essersi pentito affinché io e lui ricominciassimo un’altra vita in un’altra città. Ma non ho voluto seguirlo. Sono tornata a Lamezia chiedendo l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota, e credo che me lo concederanno perchè lui mi ha mentito. Voglio solo rifarmi un’altra vita anche perché io non ho nulla da nascondere e non ho motivo per andarmene dalla mia città e lasciare la mai famiglia. Sono stata ingannata».LAMEZIA TERME – «Mai potevo immaginare di aver sposato un assassino. Accanto a me evidentemente c’era un attore. Ma ora voglio rifarmi un’altra vita ed ho già chiesto l’annullamento del matrimonio». Rossella Curcio, 23 anni, sposata da due anni con Francesco Vasile, killer spietato della cosca Giampà pentitosi a novembre scorso, accusato dai pentiti di essere stato il sicario infallibile della cosca, svela al Quotidiano della Calabria cosa sta vivendo da quando ha scoperto che suo marito (per lei ormai ex) «aveva una doppia vita». Fine del sogno di avere una casa insieme al suo Ciccio (la stavano costruendo con tanti sacrifici), di mettere su famiglia con l’uomo che amava. Un incubo per Rossella da tre mesi a questa parte, quando Vasile è stato arrestato e quando si è pentito autoaccusandosi.  
Agiva su ordine diretto di Giuseppe Giampà, ex padrino, pentitosi pure lui a settembre scorso, ammettendo che il suo killer di fiducia era Francesco Vasile, detto “Ciccio rapina”, che l’ex padrino aveva voluto con se anche come dipendente della sua ditta GT distribuzione. Questo era Vasile, per sua stessa ammissione, ma la giovane moglie, secondogenita di una famiglia umile dove l’unico credo è il lavoro onesto per guadagnarsi da vivere e fare una vita dignitosa (il papà fa il giardiniere e la mamma la casalinga) giura che era all’oscuro di tutto. «Non abbiamo avuto figli, l’ho conosciuto cinque anni fa. Una persona normalissima, mi sono innamorata sposandolo dopo 3 anni di fidanzamento». Rossella ricorda che «la sua è una famiglia perbene, il padre è un geometra, ha due fratelli che lavorano e sono rimasti qui dopo il suo pentimento. E quando l’ho conosciuto nel 2008 (Vasile sarebbe già stato l’esecutore materiale di tre omicidi) lavorava in una ditta di movimento terra, poi andò a lavorare con Giuseppe Giampà. Tutti i suoi amici sono venuti al matrimonio ma non sapevo chi fossero, lui mi diceva che erano amici suoi. Non mi sono accorta di nulla anche perché avevamo giusto i soldi per vivere. Anzi, spesso lui era senza soldi e più di una volta glieli davo io. Mi disse che in passato aveva avuto dei problemi con la giustizia per una rapina di cui è stato assolto. E basta». Solo piccoli sospetti per Rossella. Che racconta: «solo qualche volta gli ho detto che però questi suoi amici non mi piacevano, ma lui mi tranquillizzava sempre dicendomi che erano persone normali, come noi. Lui era scherzoso, solo ultimamente era un po’ cambiato». Esattamente dal 28 giugno in poi quando ci sono stati gli arresti dell’operazione Medusa. Un giorno, come altri che seguirono, che Rossella non dimenticherà mai. 

«Alle 4 di mattina i poliziotti sono venuti a casa per un avviso di garanzia, lui infatti era indagato e non è stato arrestato. Mi disse di stare tranquilla che sicuramente avevano sbagliato persona. Poi usciva sui giornali il suo nome fatto dai pentiti che lo accusavano degli omicidi, ma lui non mi è sembrato preoccupato, anzi andava sempre dall’avvocato per smentire le dichiarazioni dei pentiti, ma l’avvocato non ha mai smentito». E nemmeno poco dopo le esecuzioni Vasile non faceva capire nulla: «Ricordo che la sera dell’omicidio del campo di calcetto era tornato tranquillamente a casa di mia madre per la cena. Era molto tranquillo. Il giorno dopo leggendo i giornali commentavamo l’omicidio e lui diceva “chissà chi è stato” ma non lasciava capire nulla a me e alla mia famiglia». Dice che «di Angelo Torcasio non aveva tanta preoccupazione perchè mi disse che era un pentito non credibile, poi quando ha saputo del pentimento di Giuseppe Giampà ha lasciato subito il lavoro, la sera non voleva uscire mai, non siamo mai andati al mare, cercava sempre scuse per non uscire. Stava sempre in casa. Ogni tanto aveva degli scatti nervosi. Quando ho visto le foto degli arrestati sui giornali gli ho detto che quelli erano gli amici suoi, quelli che sono venuti al nostro matrimonio e Giampà dove lui lavorava. Mi rispose che lui non sapeva che questi facessero queste cose ed io l’ho sempre creduto». A settembre succede che Giuseppe Giampà si pente e Rossella ha ancora nella mente cosa gli disse il suo uomo: «dopo qualche giorno decise che voleva andare a cercare lavoro a Novara dove c’è mia sorella, mentre io sono rimasta a Lamezia in attesa che lui trovasse lavoro. Il giorno a Novara portava curriculum, poi il 14 ottobre vado io perché il 15 era il suo compleanno, la mattina del 17 ottobre lo arrestano a Novara». Rossella racconta che «quella mattina non ero a casa a Novara, mi chiama mio cognato e mi dice di venire a casa che c’era la polizia che mi doveva interrogare, ma invece trovo lui con il borsone pronto per andarsene con la polizia che lo aveva arrestato. Chiedo spiegazioni ma lui ancora negava. Il giorno dopo però sui giornali leggo di che cosa era accusato e resto a Novara. Mi è crollata il mondo addosso, soprattutto poi quando ho saputo tutto dal suo stesso pentimento». 

Poi la decisione di lasciare Ciccio: «Ma di che cosa, mi chiesi, dovevo preoccuparmi se lui mi ha sempre detto di non aver fatto nulla? A quel punto non ho più avuto colloqui con lui fino a qualche giorno prima di Natale quando in carcere gli ho comunicato la mia decisione di lasciarlo. Lui non era d’accordo, mi diceva di essersi pentito affinché io e lui ricominciassimo un’altra vita in un’altra città. Ma non ho voluto seguirlo. Sono tornata a Lamezia chiedendo l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota, e credo che me lo concederanno perchè lui mi ha mentito. Voglio solo rifarmi un’altra vita anche perché io non ho nulla da nascondere e non ho motivo per andarmene dalla mia città e lasciare la mai famiglia. Sono stata ingannata». 

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