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 Sono 72 i lavoratori del Don Uva che rischiano il posto
A Roma  si decide sugli esuberi
OGGI – con un giorno di anticipo rispetto alla data prevista in un primo momento – nella sede del ministero del Lavoro a Roma si decideranno le sorti dei 72 dipendenti del “Don Uva” di Potenza. Se il ministero dovesse accogliere la richiesta, avanzata dai vertici della “Divina Provvidenza”, di messa in mobilità per 66 mesi delle 72 unità considerate in esubero, non solo si spalancherebbero le porte ai licenziamenti, ma, cosa sicuramente più importante, i vertici di Bisceglie metterebbero a segno un punto – di non poco conto – a loro favore in vista del prossimo 22 gennaio. Quando il Tribunale  di Trani dovrà decidere se accordare fiducia all’ente ecclesiastico, e quindi al suo piano di risanamento, o decretare il suo fallimento.    
Lo scorso ottobre, ricordiamo, la direzione generale di Bisceglie, aveva avviato  la messa in mobilità, per 66 mesi prima del licenziamento, non solo per i dipendenti delle sedi di Foggia e Bisceglie ma anche di quelli di Potenza. Dipendenti in esubero che, in un primo momento erano  52, e poi erano  diventati  72. A prescindere dalle 20 unità in più, da subito le organizzazioni sindacali avevano contestato il provvedimento visto che nella sede di via Ciccotti non era possibile parlare di esuberi visto che il personale era, ed è tutt’oggi, carente rispetto al rapporto con i pazienti ospitati al “Don Uva”. 
A novembre, poi, per scongiurare la richiesta di fallimento avanzata dal Tribunale di Trani, la “Divina Provvidenza”, aveva presentato una proposta di concordato preventivo. Tradotto: entro il prossimo 22 gennaio i vertici di Bisceglie dovranno consegnare al giudice un piano credibile per il risanamento dell’ente. Piano in cui rientrano i 72 esuberi. Pertanto se il ministero del Lavoro dovesse dare il via libera alla cassa integrazione questo rappresenterebbe un punto a tutto vantaggio della “Divina Provvidenza” che, ancora una volta, riuscirebbe a farla franca. 
Da tempo immemore, prima ancora che le inchieste giudiziarie e la spada di Damocle del fallimento, travolgessero i vertici di Bisceglie, sindacati e lavoratori hanno continuato a chiedere alla Regione Basilicata una sola cosa: l’autonomia gestionale della sede di Potenza e, quindi, di conseguenza, anche la  revoca dell’accreditamento dei servizi socio assistenziali per i quali la Regione, attraverso l’Asp, ha sempre pagato puntualmente. Revoca dell’accreditamento che, i vertici di via Anzio, avrebbero potuto attuare già dai primi di gennaio quando è scaduto il “contratto” con Bisceglie. Ma tutto questo non è stato fatto. Peccato, pertanto,  che i soldi lucani, da decenni, invece di venire utilizzati per rilanciare la struttura di via Ciccotti, continuino a finire  nel calderone di Bisceglie.
Alessia Giammaria
a.giammaria@luedi.it 

OGGI – con un giorno di anticipo rispetto alla data prevista in un primo momento – nella sede del ministero del Lavoro a Roma si decideranno le sorti dei 72 dipendenti del “Don Uva” di Potenza. Se il ministero dovesse accogliere la richiesta, avanzata dai vertici della “Divina Provvidenza”, di messa in mobilità per 66 mesi delle 72 unità considerate in esubero, non solo si spalancherebbero le porte ai licenziamenti, ma, cosa sicuramente più importante, i vertici di Bisceglie metterebbero a segno un punto – di non poco conto – a loro favore in vista del prossimo 22 gennaio. Quando il Tribunale  di Trani dovrà decidere se accordare fiducia all’ente ecclesiastico, e quindi al suo piano di risanamento, o decretare il suo fallimento.    Lo scorso ottobre, ricordiamo, la direzione generale di Bisceglie, aveva avviato  la messa in mobilità, per 66 mesi prima del licenziamento, non solo per i dipendenti delle sedi di Foggia e Bisceglie ma anche di quelli di Potenza. Dipendenti in esubero che, in un primo momento erano  52, e poi erano  diventati  72. A prescindere dalle 20 unità in più, da subito le organizzazioni sindacali avevano contestato il provvedimento visto che nella sede di via Ciccotti non era possibile parlare di esuberi visto che il personale era, ed è tutt’oggi, carente rispetto al rapporto con i pazienti ospitati al “Don Uva”. A novembre, poi, per scongiurare la richiesta di fallimento avanzata dal Tribunale di Trani, la “Divina Provvidenza”, aveva presentato una proposta di concordato preventivo. Tradotto: entro il prossimo 22 gennaio i vertici di Bisceglie dovranno consegnare al giudice un piano credibile per il risanamento dell’ente. Piano in cui rientrano i 72 esuberi. Pertanto se il ministero del Lavoro dovesse dare il via libera alla cassa integrazione questo rappresenterebbe un punto a tutto vantaggio della “Divina Provvidenza” che, ancora una volta, riuscirebbe a farla franca. Da tempo immemore, prima ancora che le inchieste giudiziarie e la spada di Damocle del fallimento, travolgessero i vertici di Bisceglie, sindacati e lavoratori hanno continuato a chiedere alla Regione Basilicata una sola cosa: l’autonomia gestionale della sede di Potenza e, quindi, di conseguenza, anche la  revoca dell’accreditamento dei servizi socio assistenziali per i quali la Regione, attraverso l’Asp, ha sempre pagato puntualmente. Revoca dell’accreditamento che, i vertici di via Anzio, avrebbero potuto attuare già dai primi di gennaio quando è scaduto il “contratto” con Bisceglie. Ma tutto questo non è stato fatto. Peccato, pertanto,  che i soldi lucani, da decenni, invece di venire utilizzati per rilanciare la struttura di via Ciccotti, continuino a finire  nel calderone di Bisceglie.

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