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ROMA – «E’ un atto «abnorme» quello con cui il gup di Milano ha cercato di correggere la lacuna, causata da «un problema insorto con la stampante», presente nella sentenza depositata nell’ambito del processo ‘Infinito’, a carico di 120 imputati, presunti affiliati alla ‘ndrangheta. Così la prima sezione penale della Cassazione spiega perchè, mercoledì scorso, dopo una camera di consiglio, ha annullato senza rinvio il provvedimento correttivo che il giudice dell’udienza preliminare aveva emesso per integrare la sentenza con ulteriori 120 pagine.
La Suprema Corte ha infatti ritenuti fondati i ricorsi presentati dai difensori contro l’atto del gup: l’”insufficienza» della motivazione di una sentenza, osservano gli ‘ermellinì, «per quanto parziale e relativa solo ad alcuni profili della complessiva decisione», si legge nella sentenza n.1674 depositata oggi, «deve esser fatta valere esclusivamente a mezzo d’impugnazione e non può, per ciò, venire emendata dallo stesso giudice che l’ha determinata». A sostegno di tale tesi, i giudici di piazza Cavour ricordano una precedente pronuncia della Corte, secondo cui «la sentenza carente, in tutto o in parte, della motivazione, non può considerarsi inesistente, poichè il dispositivo, letto in udienza, costituisce provvedimento decisorio con effetti propri che lo contraddistinguono, idoneo, cioè, a divenire irrevocabile se non impugnato». Il vizio della «carenza anche assoluta di motivazione» è, ribadisce la Cassazione, «sanabile dal giudice di merito successivo, che, investito di pieni poteri decisori, provvede, quando è necessario, a redigere la motivazione mancante».
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