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Il casolare dove è stato ucciso Marco Cassotta (foto archivio)

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POTENZA – Confermate, per la terza volta, le condanne a 30 anni di reclusione per l’imprenditore melfitano Angelo Di Muro, considerato il boss dell’omonimo clan del Vulture-melfese, e Nicola Lovisco, melfitano a sua volta ma da tempo residente in provincia di Pisa, accusati dell’omicidio di Marco Ugo Cassotta, nel 2007.

E’ questo il verdetto del processo ter per il delitto che innescò l’ultima recrudescenza della faida tra i clan del Vulture con altri due omicidi in rapida sequenza (Giancarlo Tetta e Bruno Cassotta, fratello maggiore di Massimo).

Nei giorni scorsi, infatti, è arrivata innanzi alla Corte di assise d’appello di Salerno la pronuncia con cui a marzo del 2012, il gup di Potenza Rossella Magarelli, aveva accolto le richieste della procura Antimafia nei loro confronti (col lo sconto di pena di un terzo per la scelta del rito abbreviato). Pronuncia confermata una prima volta in Appello, a Potenza, e poi annullata, nel 2016, dalla Cassazione col rinvio a una diversa sezione della Corte d’assise di Salerno. Di qui la seconda conferma del verdetto e un ulteriore annullamento in Cassazione, nel 2019, con rinvio a Salerno.

I giudici di piazza Cavour avevano evidenziato, in particolare, l’esigenza di «chiarire in concreto» se davvero Angelo Di Muro, assistito dall’avvocato Dino Di Ciommo, fosse «l’unica persona» in grado di decidere l’omicidio del boss dello storico clan rivale. Perché un’affermazione simile, considerato anche il ruolo ai vertici dell’omonimo clan del fratello Vincenzo, «presenta margini di apoditticità».
Quanto invece a Lovisco, assistito dall’avvocato Giuseppe Colucci, la Cassazione aveva chiesto di «ricollegare» sul piano logico l’analisi delle celle agganciate dal suo telefonino durante il presunto sopralluogo sul luogo dell’omicidio con le dichiarazioni del killer reo confesso di Marco Cassotta, l’ex camionista Alessandro D’Amato.

Quest’ultimo, infatti, aveva detto di aver spento il telefono e di averlo consegnato al cugino Lovisco «alcuni minuti dopo» una telefonata effettuata alle 7 e 52. Di qui l’esigenza di «escludere l’esistenza di dati idonei a confutare le dichiarazioni del D’Amato».

I giudici, inoltre, avevano chiesto ai colleghi d’Appello di accertare anche se «i plurimi contatti del 13 e 14 luglio 2007» tra D’Amato e Lovisco, ovvero poco prima del fattaccio, «furono distonici per eccesso e collocazione oraria rispetto alle normali comunicazioni intercorse nei giorni precedenti e/o successivi».
Secondo gli inquirenti, infatti, Lovisco avrebbe propiziato il passaggio nel clan Di Muro – Delli Gatti del cugino, che era il più temibile sicario del clan rivale dei Cassotta, reo confesso di 6 omicidi incluso quello di Marco Ugo e dei coniugi Gianfredi, a Potenza, nel 1997.

Questo il racconto offerto agli investigatori dallo stesso D’Amato, che nel 2010 ha iniziato a collaborare con la giustizia e ha spiegato ai pm dell’Antimafia che la morte del suo vecchio “compare”, Marco Cassotta, era stato il prezzo da pagare per conquistare la fiducia di Di Muro.
L’ex camionista, già condannato in via definitiva l’esecutore materiale, Alessandro D’Amato (collaboratore di giustizia dal 2010), aveva aggiunto di aver effettuato un sopralluogo nel casolare in contrada Serre scelto per tendere una trappola all’ex amico Cassotta assieme al cugino Lovisco e a Di Muro, che gli avrebbero consegnato anche le pistole utilizzate per ucciderlo. Quindi ha spiegato di aver esploso contro la vittima tre colpi di pistola.

Il corpo di Cassotta venne trovato tre giorni dopo, quando nel casolare tra i resti del fuoco acceso sul cadavere erano rimaste poche ossa sparse mentre il torso era stato trascinato nei rovi appena lì fuori.

A gennaio del 2013 Angelo Di Muro è stato assolto assieme al fratello Vincenzo anche dall’ultimo delitto della faida tra clan del Vulture Melfese, quello del fratello maggiore di Marco Ugo, Bruno Cassotta, a ottobre del 2008. Contattati dal Quotidiano i legali di Di Muro e Lovisco hanno già annunciato un terzo ricorso in Cassazione.

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Alice Possidente

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