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IL DESTINO della Cunsky resta un mistero, ma per gli inquirenti c’è un punto certo. Quella nave non si trova nel Tirreno cosentino, dove nel 2009 era scattato l’allarme. «Il relitto trovato nei fondali del mare di Cetraro e su cui ha indagato questo ufficio è la Catania» afferma il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo. In un articolo sul Quotidiano, a firma di Paolo Orofino, sono riportate le dichiarazioni del magistrato, che rivela: «Adesso bisognerà capire come mai alcuni dati, che dovrebbero coincidere, non collimino. Per questo valuteremo se avviare accertamenti mirati esclusivamente a tal fine». Sulla stessa lunghezza d’onda il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, titolare del fascicolo sul relitto di Cetraro.
LA NAVE CHE NON SI TROVA – La ricerca della motonave Cunsky era partita nel 2006 quando la procura della Repubblica di Paola indagava sulla base delle dichiarazioni del pentito di ndrangheta, Francesco Fonti, il quale aveva riferito di essere a conoscenza dell’affondamento doloso di tre navi, al fine smaltire illecitamente rifiuti pericolosi. Il collaboratore di giustizia riferisce che una delle tre navi è la Cunsky che egli stesso avrebbe fatto colare a picco al largo di Cetraro. Nel 2009 le indagini in mare portano a ritrovare un relitto finito alla ribalta delle cronache internazionali. Ma le autorità marittime internazionali, tre anni fa avevano confermato alla Dda catanzarese, che la Cunsky fosse stata demolita in India nel porto di Alang. Elemento smentito però in queste settimane dalla comunicazione della commissione parlamentare sulle ecomafia, che ha inviato alla magistratura inquirente un’attestazione delle autorità indiane che nega, appunto, l’avvenuta demolizione dell’imbarcazione.
IL “CATANIA” CONTESTATO – A prescindere però da dove si trovi la Cunsky, i magistrati che hanno ereditato il fascicolo della procura di Paola non credono che ci sia un collegamento con il relitto di Cetraro. Quello, secondo la versione ufficiale, è infatti il piroscafo Catania, affondato nel 1917. Lo hanno reso noto il 29 ottobre 2009 Stefania Prestigiacomo, all’epoca ministro dell’Ambiente, e l’attuale candidato Pd e ormai dimissionario procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: per «rassicurare i calabresi e la gente di Cetraro, le vere vittime – secondo Grasso – dell’intera vicenda», i due si affrettarono ad affermare che quel relitto è del piroscafo «costruito nel 1906 a Palermo e affondato durante la prima guerra mondiale». Il siluro che l’ha colpito e affondato ha aperto uno squarcio verso l’esterno, provocando un danno che ricorda il risultato di una esplosione. Ma non sarebbe stata una strage: i passeggeri sarebbero stati evacuati prima del bombardamento, com’era uso – disse Grasso – durante le operazioni belliche dell’epoca.
Le immagini fornite dal Reparto Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto fecero il giro del mondo ma non convinsero tutti.
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In un primo momento era infatti circolata voce di immagini che ritraevano fusti, confermate dalle parole di Walter Veltroni dopo un colloquio con il procuratore Giordano. La smentita ufficiale assicurò invece che si trattava di pezzi della ciminiera. Ci fu poi un giallo sulle coordinate. Spiegarono però dal ministero che «la presunta differente localizzazione del luogo di affondamento della Catania che si evince da vecchi documenti è spiegabile con i diversi criteri e tecniche di localizzazione di oggi rispetto a 90 anni fa quando i margini di approssimazione erano molto superiori a quelli odierni».
Francesco Sesso, campione italiano di fotografia subacquea, contestò le spiegazioni e affermò tra l’altro: «Il “Viminale” di Palmi è sceso giù a 100 metri di profondità nel 1943. Ebbene, non c’è un solo cm di lamiera con non sia stata colonizzata dalla fauna circonstante. Sul presunto “Catania” individuato non ce n’è traccia. Certo, a 500 metri di profondità l’incrostazione è minore, ma se questa è davvero una nave affodanta 90 anni fa a quest’ora anch’essa doveva essere completamente incrostata e quindi difficilmente riconoscibile».
LE OMONIMIE TRA I PIROSCAFI – Mesi dopo, il giornalista free lance contestò che la nave Catania venne affondata a Napoli e non al largo della Catania. Dovette intervenire ancora il ministero, per ricordare che l’affondamento del “Catania” nel 43 e del “Città di Catania” lo stesso annon sono solo casi di omonimia: «Quelle due navi – sottolineò la Prestigiacomo – col relitto di Cetraro non c’entrano niente. C’era un piroscafo Catania, costruito nel 1906 della «Società Marittima Italiana» che risulta affondato il 16 marzo del 1917, 15 miglia a largo di Belvedere Calabro (oggi Belvedere Marittimo), silurato da un sommergibile.
Un riscontro arriva da Oropa, dodici chilometri da Biella, dove c’è un cimitero monumentale nell’area del santuario mariano delle Alpi. E lì, tra le epigrafi, ce n’è una che ricorda il capitano di Marina Ermanno Guala, “marinaio d’Italia caduto per la patria” sul piroscafo Catania. Sono riportate anche le origini dell’ufficiale – nato a Mottalciata, proprio nel Biellese, il 7 aprile 1883 – e soprattutto il luogo e la data di morte: “Acque di Belvedere Calabro 16 marzo 1917”. Il dato è riportato anche su Internet, nel file della “Guida al cimitero monumentale”.
L’ARCHIVIAZIONE DEL CASO – Sulla base di tutti questi elementi e delle immagini fornite con i rilievi sottomarini, nel maggio 2011 il giudice per le indagini preliminari Gabriella Reijllo ha accettato le richieste della procura, disponendo l’archiviazione del procedimento che vedeva indagate oltre a Fonti, il boss di Cetraro Franco Muto, di Cetraro, Giuseppe Scipio Marchetti, genero di Muto, e Delfino Luceri, un tempo vicino al “re del pesce”. Contestualmente il gip ha dichiarato inammissibile l’opposizione all’archiviazione avanzata da Legambiente. Dunque, nessun veleno nelle navi relitto, niente rifiuti. Nessuna traccia di radioattività. Le dichiarazioni di Fondi sono «irrimediabilmente false» tanto che, in due interrogatori, «ha riferito particolari tra loro così stridentemente contrastanti da imporre la conclusione della pura e semplice invenzione di quanto riferito e tali da far attribuire tale contrasto alla conseguente incapacità di ricordare perfettamente, nel secondo interrogatorio, quanto riferito la prima volta».
E soprattutto, quella sui fondali non è la Cunsky. Un dato sul quale la Procura di Catanzaro e la Dda non sono disposti a fare marcia indietro, anche adesso che è caduta la certezza che dava la nave per demolita in India.
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