I manifesti affissi e fatti rimuovere dal sindaco di Reggio Calabria
3 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Ma chi ce lo doveva dire che in tempi di Covid, virus, vaccini, test sierologici, sperimentazioni in laboratorio per salvare l’umanità da una incredibile ed inaspettata pandemia avremmo dovuto riportare indietro le lancette dell’orologio e tornare agli anni 70 ed al dibattito sull’aborto ed a tutto il baillamme politico che precedette la firma del presidente Leone nel 1978 alla legge 194?
Succede a Reggio Calabria dove un’oscura ed oscurantista campagna nazionale del movimento Onlus “Pro Vita e Famiglia”, che attraversa la città (come in tutte le città d’italia) nella totale indifferenza, con alcune vele pubblicitarie tentando di dissuadere le donne ad abortire, anzichè languire e poi morire nell’oblio, è diventata, incredibilmente, l’argomento del giorno, riesumando dibattiti, inutili perchè superati dalla storia e dalla legge italiana, su chi è a favore o contrario all’aborto.
IL CORPO E’ MIO E LO GESTISCO IO
A scendere in campo è il primo cittadino Giuseppe Falcomatà che ha annunciato via social “l’intenzione di rimuovere quei manifesti offensivi e violenti nei confronti delle donne”. Manifesti che ritraggono una giovane donna bionda con un cartello sul quale è scritto: “Il corpo di mio figlio non è il mio corpo, sopprimerlo non è la mia scelta #stopaborto”.
Un messaggio che Falcomatà ha chiesto di rimuovere in quanto «lesivo della libertà personale di un individuo». «Mi avevano risposto che non si può fare perché non ci sarebbe nessun messaggio violento scritto. E invece si. È una violenza impedire a una persona di scegliere, in modo consapevole e responsabile, nel rispetto della legge. È una violenza – ha spiegato il primo cittadino – non consentire a una persona di avere un’altra idea, un’altra opinione, un altro punto di vista. È una violenza ancora maggiore esporre questi manifesti vicino le scuole, luoghi di educazione, di istruzione, di cultura, luoghi in cui si forma la coscienza di ogni individuo e si impara il rispetto per la dignità di ogni individuo. È violenta una pubblicità il cui messaggio è che non sei padrona di te stessa. Non si può fare – mi è stato detto – ci esponiamo al rischio di finire in tribunale. Ho risposto che sarò contento di spiegare a un giudice perché quel messaggio è violento». «I manifesti saranno rimossi, già dalle prossime ore», ha assicurato Falcomatà.
LA CHIESA PRENDE LE DISTANZE
Immediata la reazione dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria, che ha fatto sapere: «Il commento del sindaco Falcomatà appare assolutamente non condivisibile ed inappropriato, giacché un manifesto che reca una opinione alternativa all’aborto non rappresenta, in nessun caso – questa la sottolineatura – un impedimento a scegliere di abortire. Rammarica constatare che ancora oggi si fa un uso pregiudizievole e politico della tematica dell’aborto, una pratica che lascia ferite profonde in molte donne e che calpesta la dignità delle donne stesse, soprattutto di coloro che hanno fatto la dolorosa scelta di abortire”.
Inevitabile poi la discesa in campo dei movimenti destrorsi da Fdi a Stanza 101 che hanno accusato il sindaco “di metodi da despota e di attuare la censura” spostando la discussione dalla liceità dell’aborto alla libertà d’espressione. Spiace perché il sindaco, per il ruolo istituzionale che riveste, dovrebbe invece farsi garante delle libertà costituzionali di tutti, fra cui il diritto inviolabile alla libertà di espressione».
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