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POTREBBERO mostrarci come si fa a cadere, leccarsi le ferite e rialzarsi per poi riprendere la strada nel punto in cui è franata un anno fa sotto i nostri occhi increduli. Hanno sette vite e forse oggi potrebbero insegnarci come sopravvivere alla caduta dal grattacielo delle nostre certezze e delle nostre abitudini consolidate che il coronavirus ha spazzato via con un colpo di coda.

Sono i gatti, o meglio “siamo gatti, siamo noi” a volerla dire con il testo che Samuele Bersani ha scritto per una delle canzoni che accompagnano   il film d’animazione del 1998 diretto da  Enzo D’Alò. Si intitolava “La gabbianella e il gatto” ed era basato sul  romanzo  “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”  dello scrittore  cileno  Luis Sepúlveda. E allora volare e diventare come i gatti del porto: Zorba, Colonnello, Segretario, Diderot e Pallino… Nomi buffi che tornano alla memoria a qualche giorno dal 17 febbraio, data in cui in Italia si celebra la Festa del  gatto (mentre l’8 agosto tocca al World Cat Day, ndr).

La scelta del giorno per la ricorrenza italiana – istituita nel 1990 – non è fortuita. Secondo un’antica credenza, febbraio è “il mese dei gatti e delle streghe”. Il 7 e il 17 fanno il resto. Cabala a parte, il carismatico felino domestico occupa un posto di tutto rispetto nelle vite di molti celebri scrittori e poeti. Sarà per la sua aura misteriosa, per l’eleganza con cui svicola, per la seducente bellezza di alcuni esemplari, per quel suo essere presente e assente che lo rende unico e inafferabile, il gatto è un animale da manuale, da romanzo quando non da giallo.

Lo sapevano bene gli antichi Egizi che lo chiamavano Mau e lo consideravano sacro: “Tu sei il Grande Gatto, il vendicatore degli dei e il giudice delle parole, quello che presiede i capi sovrani e governa il grande Cerchio; tu sei davvero il Grande Gatto”, recita un’iscrizione nella  Valle dei Re. Sacri al punto tale che dopo la loro morte venivano mummificati come gli uomini e offerti a Bastet: la dea gatta nell’olimpo egiziano, raffigurata come donna dalla testa di gatto o come una gatta nera.

Di scrittori e gatti, dicevamo però! Da chi cominciare? Senza regole cronologiche, dall’autore de “Il vecchio e il mare”, può essere un buon inizio. È cosa nota che Ernest Hemingway amava circondarsi di un piccolo esercito di gatti riconducibile alla stirpe di Palla di neve, il celebre felino con sei “dita”. Da questo esemplare ha origine la colonia che ancora oggi vive nella casa museo dello scrittore a  Key West. Neanche a dirlo vengono chiamati Hemingway’s Cats (i gatti di Hemingway). I loro nomi? Emily Dickinson, Dorian Grey, Marilyn Monroe, Mark Twain… E sono tante le foto di Ernest in compagnia degli amici miagolanti. Una lunga storia d’amore, si potrebbe dire quella tra i mici e lo scrittore che tra l’altro osservava come “ai gatti riesce senza fatica ciò che resta negato all’uomo: attraversare la vita senza fare rumore. I gatti dimostrano di avere un’assoluta onestà emotiva.”

Ben 15, invece, le poesie che Thomas Stearns Elliot dedica ai compagni del mondo animale. Lui li mette in versi e li studia, a cominciare dal modo migliore per chiamarli. “È una faccenda difficile mettere il nome ai gatti; niente che abbia a che vedere, infatti, con i soliti giochi di fine settimana./ Potete anche pensare a prima vista,/ che io sia matto come un cappellaio,/ eppure, a conti fatti, vi assicuro che /un gatto deve avere in lista,/ TRE NOMI DIFFERENTI. […] ” , scrive Elliot nella poesia “Il nome dei gatti”.

Restando nel mondo delle rime e delle odi dedicate ai mici compare anche le firma blasonata di Pablo Neruda. “[…] L’uomo/ vuole essere pesce e uccello/ il serpente vorrebbe avere ali/ il cane è un leone spaesato/ l’ingegnere vuol essere poeta/ la mosca studia per rondine/ il poeta/ cerca di imitare la mosca/ ma il gatto/ vuol solo essere gatto/ ed ogni gatto è gatto/ dai baffi alla coda/ dal fiuto al topo vivo/ dalla notte/ fino ai suoi occhi d’oro/[…]”, scrive il poeta nella sua “Ode al gatto”.

Poeti, gatti, parole e versi come ne il “Sonetto per i miei gatti” di Torquato Tasso che alla sua gatta chiedeva in prestito gli occhi per poter scrivere anche di notte. Ed è un amore confessato in “dolce stil novo” con tanto di epitaffio per l’amico gatto quello di Francesco Petrarca. Innamorati dei gatti anche Baudelaire, Dumas, Balzac, Gautier, de Maupassant, Apollinaire, Pessoa, Saba, Borges, Swinburne, Rodari. L’elenco è lungo. Commuove la storia del poeta inglese Cristopher Smart e del suo gatto Jeoffry. “Smart venne internato in un ospedale per malati di mente per otto lunghi anni, ma riuscì a sopportare gli orrori della prigionia e la solitudine solo grazie a Jeoffry, che con il suo affetto lo salvò dal baratro della disperazione”, si ricorda su gattiintornoanoi.altervista.org E se Charles Dickens scriveva i suoi capolavori in compagnia di diversi gatti – ma il suo preferito si chiamava Bob – cosa dire di Mark Twain che offrì una ricompensa di cinque dollari, quando il suo gatto di nome Bambino scomparve dalla sua casa a New York ?

Amori felini e persino richiesta di consigli messa in atto. È il caso di Raymond Chandler. A quanto pare il creatore del detective Philip Marlowe, “leggeva le prime stesure dei suoi romanzi al gatto Taki, che definiva il suo “segretario felino”, si ricorda su “Lo Scaffale OnLine”. Una sorta di fidato confidente a cui affidarsi prima di dare alle stampe l’opera. Ma veniamo ai nomi più celebri assegnati agli adorati. Cattarina si chiamava la gatta di Edgar Allan Poe, che ispirò il celeberrimo racconto “Il gatto nero” ; Minou il gatto di George Sand; Bosch e Tommy erano i nomi dei gatti di Anna Frank; Tyke quello del gatto di Jack Keruac. L’autore di “On the road” confesserà: «Ho amato Tyke con tutto il mio cuore». Behemot è l’appellativo inventato da Bulgakov per il suo gatto immaginario; Canonico quello del gatto vero di Victor Hugo. Minna la Siamese si chiamava la gatta di  Elsa Morante.

E si potrebbe continuare o chiudere con alcuni stralci di una poesia che Charles Bukowski dedica ai suoi amici felini. Neanche a dirlo s’intitola “I miei gatti”. “[…] Vanno e dormono con totale semplicità, /incomprensibile agli umani. /I loro occhi sono /più belli dei nostri /e riescono a dormire venti ore /al giorno /senza esitazione o /rimorso. /Quando mi sento/ giù, /basta che guardi/ i miei gatti e il mio coraggio ritorna. /Io studio queste/ creature. Loro sono i miei/ MAESTRI!”.


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