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Il Tribunale di Potenza

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POTENZA – Il piano era di uccidere il socio con cui il 53enne pomaricano Antonio Armandi gestiva una ditta di salotti. Lui e l’amante, per la precisione, in modo che passasse per un delitto passionale. Prima, però, bisognava tappare la bocca al “professore”, Antonio Grieco, che quella storia non l’avrebbe mai bevuta e una spiata sul compaesano Armandi, suo nemico giurato, l’avrebbe fatta di sicuro.

E’ questo l’antefatto dell’omicidio Grieco raccontato ieri mattina alla Corte d’assise di Potenza da Giuseppe D’Elia, 57enne di Montescaglioso arrestato tre giorni dopo il delitto avvenuto il 27 maggio del 2019 nel bosco di contrada “Difesa San Biagio”, sul confine meridionale della “città dei monasteri”.

D’Elia, che era stato già condannato per omicidio con metodo mafioso nell’ambito della faida degli anni ‘90 tra i clan montesi, nel 2019 era tornato in libertà soltanto da qualche mese. Per questo di fronte alla prospettiva di restare in carcere per il resto della sua vita ha deciso di collaborare con la giustizia, e ieri ha confermato quella scelta dettagliando l’accaduto nei minimi termini. Incluso il colpo di pistola che lui stesso avrebbe esploso da distanza ravvicinata sulla nuca del “professore”. Un colpo per finirlo, dopo le due fucilate con cui era stato già abbattuto da Armandi, mentre quest’ultimo e il 43enne montese Carmelo Andriulli, si gettavano all’inseguimento del figlioccio di Grieco, Ennio Cristalli.

D’Elia, Armandi e Andriulli sono accusati, oltre che dell’omicidio di Grieco, attirato nella trappola nel bosco con la scusa di una compravendita di armi, anche per il tentato omicidio di Cristalli, che aveva accompagnato il padre all’appuntamento con D’Elia, e all’indomani avrebbe indicato il nome dei suoi assassini ai carabinieri. Su questo però, ieri mattina, il boss pentito ha raccontato una storia diversa. «E’ vero che volevamo uccidere Cristalli perché era un testimone». Ha spiegato D’Elia. «Ma dopo».

«Se doveva essere ammazzato subito non avrei avuto problemi a farlo». Ha aggiunto. «Ero armato. Scarrellavo e sparavo. Invece il piano era di tenerlo in vita e di legarlo con delle fascette di plastica che Andriulli aveva in auto. Volevamo che ci dicesse dove il padre teneva nascosti soldi e droga. Dovevamo promettere di liberarlo se ci avesse detto dov’erano, e lasciarlo vivo intanto che qualcuno andava a controllare se il posto fosse quello giusto. Solo dopo lo avremmo ucciso».
Il 57enne montese ha raccontato che l’idea di mettere le mani sul tesoretto di Grieco, considerato il referente per lo spaccio di droga a Pomarico, era nata dopo le ripetute vanterie di quest’ultimo sulla «manina», che avrebbe «murato» in uno dei suoi nascondigli. Un’espressione accompagnata dal rapido movimento delle dita del “professore”, spesso appesantite da vistosi anelli di oro zecchino, che per il boss significava non meno di 500mila euro in contanti.

Rispondendo alle domande del pm antimafia, Annagloria Piccininni, D’Elia ha ammesso che col suo ritorno in libertà era stato naturale assumere un ruolo di referente per tutto quello che si muoveva negli ambienti criminali di Montescaglioso e dintorni. Anche per risolvere dispute di vario genere prima che potessero compromettere il buon andamento degli affari. Così aveva approfondito la conoscenza di Grieco, che accusava Armandi di avergli rubato 27mila euro custoditi in uno dei suoi nascondiglio. Nell’occasione, però, avrebbe legato anche con quest’ultimo, che poi gli avrebbe chiesto di eliminare il socio e di prendere il suo posto nella loro ditta di trasporti. Un’offerta che D’Elia aveva praticamente accettato, salvo optare per un pagamento in contanti di 200mila euro temendo che l’impresa, dopo il suo ingresso in società, potesse essere colpita da un’interdittiva antimafia.

«Armandi mi portò sotto casa di questo signore, e poi mi indicò l’abitazione dell’amante». Ha spiegato il boss pentito. «Io dovevo pedinare la donna e vidi che in effetti andavano ad appartarsi sempre nello stesso posto. Avevamo già imboscato lì il fucile che poi è stato utilizzato per Grieco, e l’idea era di uccidere tutti e due per farlo sembrare un delitto passionale. Non se ne fece più nulla soltanto perché Armandi temeva che il professore l’avrebbe accusato parlando ai 4 venti. Per questo si è deciso di uccidere prima lui».

Ad accelerare i preparativi del suo omicidio, quindi, sarebbe stato lo stesso Grieco, ignaro delle evoluzioni intercorse nel rapporto tra Armandi e D’Elia.
«Mi ha chiesto di uccidere tre persone, tra cui Armandi». Ha riferito il 57enne. «Non avevamo già stabilito un compenso. Mi disse che avrei avuto tutto quello di cui avevo bisogno, e che poteva affiancarmi una sua persona di fiducia per aiutarmi (…) Avrei potuto spillargli quanti soldi volevo in anticipo per quegli omicidi, ma mi dava fastidio perché era uno che parlava troppo e con quel modo di fare mi poteva procurare danni. Per questo ho riferito la cosa ad Armandi e Andriulli con cui era subentrata una bella amicizia».

L’unico fremito nella voce del boss pentito, collegato in videoconferenza da una località riservata, si è avvertito proprio mentre parlava del suo rapporto con i due coimputati, a loro volta reclusi e collegati in videoconferenza. Nei confronti di entrambi, però, D’Elia non ha risparmiato un severo rimprovero per il secondo errore commesso nell’esecuzione del loro piano diabolico, dopo la decisione di non uccidere subito Cristalli.

«Io glielo dicevo di non usare i telefoni. Non dovevano rompermi le scatole con i telefoni. Ma loro rispondevano che li usavano per parlare di cose normali. Se io avessi saputo che continuavano a utilizzarli li avrei lasciati perdere e non sarei qui. E non avrei fatto questo scelta». A monitorare le loro chiamate, infatti, c’era la Squadra mobile di Matera. Così il 27 maggio la polizia ha assistito a distanza a tutto quello che è avvenuto nel bosco di “Difesa San Biagio”.

Grieco e D’Elia che arrivano con due macchine, e l’auto del professore che qualche tempo dopo si allontana con D’Elia alla guida. Pochi minuti più tardi la scoperta del corpo, e l’inizio della caccia ai suoi assassini.

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Alice Possidente

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