Una immagine degli allagamenti conseguenti all'alluvione di Vibo Valentia del 3 luglio 2006
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VIBO VALENTIA – Un processo durato anni, finito in prescrizione per una serie di accuse, e con l’assoluzione per altre. Doveva essere il procedimento che avrebbe dovuto stabilire eventuali colpe per l’alluvione del 3 luglio del 2006 ed invece tutti gli imputati sono stati assolti da ogni accusa rimasta in piedi. Politici, tecnici del tempo in servizio presso di vari enti, ed altri soggetti. Insomma, per quell’evento che provocò tre morti (tra cui un bambino di 15 mesi) non sono stati individuati i responsabili.
Il verdetto. Era il 30 giugno del 2020 quando il presidente del Tribunale, Giulio De Gregorio pronunciava il verdetto assolutorio per tutti e 14 gli imputati chiudendo il processo bis di quel tragico evento: Gaetano Bruni (al tempo presidente della Provincia) e Paolo Barbieri (assessore ai lavori pubblici dello stesso ente), Ugo Bellantoni e Silvana De Carolis, ex dirigenti del Comune capoluogo (Ufficio tecnico il primo e Lavori pubblici e urbanistica la seconda) per i quali l’accusa, rappresentata dal pm Iannazzo, aveva comunque chiesto l’assoluzione; poi Domenico Corigliano, ex comandante della Polizia municipale di Vibo, Giacomo Consoli (a capo dell’Ufficio tecnico prima del Comune e poi della Provincia), Filippo Valotta (dirigente dell’ex Nucleo industriale), Ottavio Amato e Giovanni Ricca (funzionari dell’Autorità di Bacino Regionale) e Pietropaolo La Rosa (responsabile della sorveglianza idraulica dei bacini idrografici nella provincia di Vibo).
Assolti anche i componenti un intero nucleo familiare, quello dei Marzano: Raffaella, Alessandra, Maria Antonietta, Fabrizio. Un processo che si sarebbe potuto concludere ben prima ma che le annose criticità nel tribunale hanno impedito dilatando i tempi e così l’unico reato rimasto non prescritto era il disastro colposo, mentre quelli di omicidio colposo per la morte di tre persone e omissione di atti d’ufficio si erano prescritti nel 2016.
I periti
Nelle motivazioni della sentenza, contenute in 56 pagine, la parte nodale che ha interessato la decisione dei giudici è rappresentata dalle escussioni dei consulenti tecnici di accusa e difesa. Per il Collegio infatti «si afferma che nessuno è stato in grado di precisare che cosa, in pratica, sarebbe accaduto senza queste recinzioni dei fabbricati presenti in contrada Zufrò e soprattutto come, nel 2001, quando è intervenuto il Piano di assetto idrogeologico (Pai), si sarebbe dovuto intervenire dal momento che la zona era considerata a basso rischio e non vi erano particolari prescrizioni idrogeologiche».
Il Pai
Quanto agli elementi del giudizio “controfattuale”, il Tribunale rileva che «nessuno è stato in grado di dire, con riferimento a tute le costruzioni, comunque risalenti ad epoca precedente all’entrata in vigore del Pai, che cosa si sarebbe dovuto fare; e neppure rispetto ai condoni ed alle sanatorie ciò è stato precisato». Sulla presenza di strutture abitative, il Collegio ha rilevato che «un eventuale piano di recupero urbanistico avrebbe potuto fare ben poco in presenza di un Pai che non precedeva le zone stesse come ad alto rischio idrogeologico, senza prescrivere in esse alcun vincolo»; e in conferimento alla zona di rischio del torrente Sant’Anna, il Tribunale evidenzia che il Comune di Vibo ha posto in essere due interventi per la realizzazione di argini di destra e di sinistra per una cifra di 860mila euro: «Del resto, i progetti presentati per il recupero a seguito del Pai Calabria ammontavano a 869 milioni di euro, mentre la misura finanziata ammontava a 44 milioni, assolutamente insufficienti per consentire agli enti locali di coprire tutte le aree a rischio R3 e R4. Nella pianificazione dei finanziamenti, parametrati al numero di abitanti, la Calabria conta la penalità di averne un basso numero».
Le inondazioni
Dai dati pluviometrici rilevati dalla Stazione di Vibo emerge che il 3 luglio del 2006 il quantitativo di pioggia accumulata è stata di 202 millimetri: in particolare nell’intervallo tra le 9,45 e le 12,20 sono caduti al suolo 198,40 millimetri; prendendo in considerazione l’intervallo di tempo tra le 10.45 e le 11,45 sono precipitati circa 133 litri per ogni metro quadrato di terreno, quindi 133mila litri d’acqua per ogni kmq. Valori di gran lunga superiori, pari quasi al doppio, rispetto ai massimi storici di quelli rilevati dalla Stazione, pari a 60 millimetri in un’ora.
Via Cocari
Il Tribunale ha specificato che circa due ettari e mezzo di terreno reso impermeabile dall’opera dell’uomo hanno scaricato tutta l’acqua dalla zona del carcere su via Cocari un tempo interpoderale. Acqua che si è riversata sul tracciato delle ferrovie Calabro Lucane determinando il fenomeno che genera la frana che uccide tre persone: «La strada – scrivono i giudici – era munita di impluvi e pozzetti che servono però in situazione ordinaria e non certo a contenere una simile massa d’acqua», cosa che non è stato il 3 luglio 2006: «Da qui si raccolgono le acque provenienti dalla zona più vicina al centro abitato di Vibo e la pioggia caduta si è canalizzata nel punto più basso della via andando a finire nel fosso Zufrò che poi diventa Rio Bravo, presente a valle. Questa conformazione consente di ritenere che l’acqua proveniente da questo torrente abbia superato il tracciato della calabro lucana andando verso il basso e quindi diramandosi fino a terminare sulla SS 18 che conduce a Vibo Marina incontrando in parte la frana».
L’ex Calabro Lucana e la frana assassina
Qui l’acqua ancora ruscellava, non portando con sé detriti o massi, perché «la zona è rimasta pulita da passaggio delle acque. Ma l’acqua proveniente della casa circondariale ha piegato la vegetazione e determinato, a valle, l’evento franoso. Nelle fotografie della frana che ha lambito la Ss 18 si distingue chiaramente – afferma il Collegio – che i macigni erano attaccati alla scarpata e questo significa che gli stessi non sono caduti da sopra dove l’erba si è appiattita ma che le pietre finite sulla strada hanno purtroppo provocato i decessi, erano già incastonate nella scarpata».
L’area di Bivona e il fosso Sant’Anna
Per queste due aree, il Tribunale rileva che gli allagamenti sono stati causati dai «difetti di officiosità dei tubi e dei condotti posti in zona che, secondo i periti, avrebbero contribuito non solo all’esondazione del torrente, determinando quindi l’alluvione di Vibo Marina e Bivona», e il Calzona e il Galera, anche se fossero stati efficienti avrebbero potuto fare ben poco».
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