Pedro Sanchez, Angela Merkel e Emmanuel Macron
3 minuti per la letturaA leggere i dati Istat sul mercato del lavoro di dicembre 2020 un grido di allarme è corso sulla rete, è approdato nei tg, nei talk show, sui quotidiani (da settimane concentrati sulla crisi di governo senza rinunciare al solito virologo). Tutti a chiedersi perché l’occupazione è tornata a diminuire, interrompendo il trend positivo che tra luglio e novembre aveva portato a un recupero di 220 mila occupati. Anche la disoccupazione, dopo quattro mesi di progressivo calo, è tornata a crescere portando il tasso al 9%.
Rispetto a febbraio 2020, il tasso di occupazione è più basso di 0,9 punti percentuali e quello di disoccupazione di 0,4 punti. Le ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione registrate tra marzo e giugno 2020, unite a quella di dicembre, hanno portato – aggiunge l’Istat – l’occupazione a un livello più basso di quello registrato nel dicembre 2019 (-1,9%, pari a -444mila unità). La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-235mila) e autonomi (-209mila) e tutte le classi d’età, ad eccezione degli over50, in aumento di 197mila unità, soprattutto per effetto della componente demografica (ovvero si tratta di un’illusione ottica determinata dall’incremento materiale di queste coorti anagrafiche, nel senso che la crescita di numero riguarda persone già occupate, ma transitate in un’altra coorte anagrafica per il naturale scorrere degli anni).
Come si può notare – soprattutto se si aggiunge il numero dei rapporti non attivati e dei soggetti inattivi – il blocco dei licenziamenti che passa da una proroga all’altra è una misura discutibile anche sul piano di una logica strettamente e tenacemente difensiva dell’esistente. Poi vi è il suono sinistro della campana di dicembre: 101mila occupati in meno di cui 99mila sono donne.
Ma quali sono le cause di questo trend negativo del mercato del lavoro? Perché il mese di dicembre ha avuto un’impennata della disoccupazione? Diciamoci la verità: siamo in presenza di un effetto collaterale (scontato) delle misure – assunte in autunno inoltrato e soprattutto all’inizio di dicembre – per la cosiddetta mitigazione del contagio da Covid-19. Si è sparato sull’autoambulanza della solita Croce Rossa: il settore dei servizi con chiusure a tappeto spesso prive di una giustificazione adeguata.
Quando viene soppressa la stagione del turismo invernale, si chiudono tutte le attività economiche che lavorano e producono buona parte del loro fatturato durante le festività, si vietano gli spettacoli, si impone il coprifuoco e si proibisce di varcare i confini tra i piccoli comuni, si criminalizzano i cosiddetti assembramenti, si limita il numero dei parenti che è possibile invitare a cena, non è il caso di stupirsi se aumenta la disoccupazione e diminuisce l’occupazione. Magari non siamo in presenza di licenziamenti, ma di mancate assunzioni. Poi i dati parlano da soli. La diminuzione degli occupati – certifica l’Istat – nell’ultimo mese (il dicembre nero) coinvolge i dipendenti permanenti (-0,1%), quelli a termine (-0,3%) e soprattutto gli autonomi (-1,5%). Il calo degli occupati registrato nei dodici mesi non riguarda i permanenti, che crescono dell’1% (+158mila), ma soltanto i dipendenti a termine (-13,2%, pari a -393mila) e gli indipendenti (-4%, pari a -209mila).
Come interpretare allora il dato dei lavoratori autonomi, se non ritenendo che si tratti di aziende che hanno abbassato la saracinesca per sempre, con annessi dipendenti a spasso? Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi, su Il Foglio di sabato scorso, hanno posto una domanda ormai divenuta ineludibile: ‘’Fino a quando può resistere una società imprigionata dal virus?’’. Ed hanno aggiunto: ‘’Trovare un punto intermedio fra le diverse istanze, stimando al meglio i rischi e proteggendo al meglio le categorie più fragili è difficilissimo, ma è curioso rifiutarsi di cercarlo’’.
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