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Sono 13 i piani di intervento per le opere nel Mezzogiorno previsti nel Recovery Plan, riveduto e corretto dal Mef sull’ “onda” di osservazioni, richieste e critiche dei partiti della maggioranza di governo.
Per la missione “Infrastrutture” la nuova bozza del piano ha aumentato la dotazione finanziaria, che è passata da 27,7 miliardi della versione datata 7 dicembre a 31,98, con 28,30 miliardi destinati alla componente “Alta velocità di rete e manutenzione stradale”, di cui 11,68 miliardi per progetti già in essere e 20,30 per i nuovi – tra risorse del Recovery per 14,80 miliardi e del Fondo sviluppo e coesione per 5,50.
Mentre per la componente “Intermodalità e logistica integrata” i fondi ammontano a 3,6 miliardi, di cui la maggior parte – 3,33 miliardi – per i porti. Secondo l’elenco anticipato dall’Ance, l’associazione dei costruttori, nel Recovery compaiono la velocizzazione e l’incremento di capacità della ferrovia Palermo-Catania-Messina per circa 4 miliardi di euro, opera da inserire tra quelle già previste, come l’alta velocità – alta capacità Napoli-Bari per un importo stimato dall’Ance pari a 2,6 miliardi. L’Av/Ac Salerno-Reggio Calabria (550 milioni) figura tra le infrastrutture con progetto di fattibilità da realizzare accanto alla Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia.
Nell’elenco anche compaiono poi l’integrazione tra l’alta velocità e il trasporto regionale e l’adeguamento delle ferrovie regionali urbane come la Bari-Bitritto, Rosarno-San Ferdinando, Ferrovie del Sud est, la Circumvesuviana e la Circumetnea.
E ancora la predisposizione sulle autostrade A24-A25 di un sistema di monitoraggio dinamico per controlli da remoto ed interventi di messa in sicurezza su ponti, viadotti e gallerie; tra i progetti portuali – che premiano soprattutto il Nord Italia – c’è l’ultimo miglio ferroviario e stradale per i porti di Napoli e Salerno, opere per la resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici per Palermo e Catania e per l’accessibilità marittima a Taranto. Ancora alla voce “Infrastrutture” ci sono interventi di messa in sicurezza e monitoraggio di strade, viadotti e ponti.
Mentre ad altre missioni appartengono gli interventi sulle infrastrutture idriche e messa in sicurezza del territorio contro il rischio idrogeologico, per l’edilizia scolastica, l’efficientamento di edifici pubblici, mentre nell’ambito del potenziamento del piano dei grandi attrattori turistico-culturali ci sono il Costa Sud a Bari e il primo auditorium di Palermo. Ci sono poi interventi per circa 130 milioni per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie su 280 beni immobili nelle 8 regioni del Mezzogiorno.
«Sono tali le carenze infrastrutturali del Mezzogiorno che queste opere non potranno che recare benefici. Le infrastrutture sono l’unico strumento per rilanciare l’economia e rendere il territorio competitivo», dice Gabriele Buia, presidente dell’Ance, che però avverte: «Ci sono opere immediatamente cantierabili ma altre sono ancora al progetto di fattibilità, e quindi in quattro anni non verranno mai realizzate: non possiamo credere alle favole».
«Per questo – afferma – per il Mezzogiorno bisogna cominciare a prevedere anche opere di manutenzione sulle infrastrutture esistenti, anche infrastrutture sociali, scuole e immobili pubblici compatibili con le risorse europee e su questa voce aumentare le risorse».
Buia saluta con favore l’integrazione dei fondi di coesione (Fsc) nel Recovery: «Almeno avremo la sicurezza che verranno spesi e anche tempestivamente. È vero, sono già soldi del Mezzogiorno ma diversamente li perderemmo. L’uso dei fondi di coesione è sempre stato un problema dell’Italia: nella programmazione 2014-2020 è stato speso solo il 6% delle risorse. Non riusciamo a spenderle. Abbiamo sempre dovuto chiedere all’Europa di poter spendere nei tre anni successivi i denari che non riuscivano a impiegare nei sei anni di programmazione, a differenza degli altri paesi che hanno rispettato i e ora stanno già presentando i progetti per il 2021-2027».
«Come Ance ci siamo spesi per investire nelle grandi infrastrutture del Mezzogiorno ma per anni nessuno è riuscito a concretizzare nulla perché ci si perde tra gli ingranaggi farraginosi della macchina dello Stato e la selva di burocrazia insita nelle Regioni per cui i grandi enti commettenti, come per esempio l’Anas, ottengono i pareri necessari dopo anni. Non è possibile continuare così – avverte – Non possiamo perdere l’occasione di utilizzare i fondi del Recovery per adempimenti burocratici amministrativi e lungaggini tipiche del sistema italiano».
Quindi, secondo Buia, «la questione non è quanti soldi abbiamo messo nel documento, ma se riusciremo a spenderli. Manca un piano per definire come spenderemo le risorse. Il problema è nelle procedure a monte delle gare che bloccano le autorizzazioni e le opere. Entro il 2022 il 70% deve essere impegnato, ovvero appaltate, ed entro il 2023 abbiamo l’obbligo di impegnare il 100%: è una sfida decisiva. Non possiamo fallire».
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