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L'assessore Giulio Gallere e il governatore Attilio Fontana

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Dopo ogni errore, se ne sono sommati altri. La storia di come la Sanità lombarda ha affrontato il Covid-19 è il racconto di una serie di disastri. Non solo è stata gestita in maniera molto discutibile la prima fase dell’emergenza, ma pure tutte quelle successive. Tutte. Persino sui normali vaccini anti influenzali la Lombardia è arrivata in ritardo su tutto: dagli ordini delle dosi alla sua distribuzione.

Inefficienze che hanno favorito i ricchi affari dei privati e cambiato per sempre il mito della regione più efficiente d’Italia. Oggi torna sul banco degli imputati Giulio Gallera, assessore lombardo al Welfare, perché ha detto che la Lombardia è in ritardo sui vaccini perché i medici sono in ferie, ma tutto il sistema ha dimostrato limiti e difetti oltre l’ordinario.

1 – LA SOTTOVALUTAZIONE

All’inizio del 2020 persino alcuni dirigenti medici di importanti ospedali milanesi classificavano il nuovo Coronavirus come “poco più di un’influenza”. E i politici sottovalutavano le recrudescenze di polmoniti e i primi segnali di diffusione del virus che poi si è scoperto essere in Italia almeno dall’autunno 2019. Ci vollero settimane perché qualcosa si smuovesse davvero. Intanto si discuteva e si parlava a tutti i livelli politici e amministrativi, ma la Lombardia restava aperta e il contagio libero di girare.

2 – DISASTRO DI BERGAMO

In primavera questa confusione sulla direzione da prendere ha portato a vedere Bergamo devastata dagli effetti di una pandemia senza controllo: a maggio l’Istat ha rilevato nella zona un incremento della mortalità del 568% rispetto alla media dello stesso periodo nei cinque anni precedenti.

Ma per capire quanto l’organizzazione fosse già in palla basti pensare che Annalisa Malara e Laura Ricevuti, dottoresse in servizio all’ospedale di Codogno, dovettero forzare il protocollo per individuare Mattia il “paziente uno”. Grazie al tampone irregolare hanno scoperto il primo contagiato e rivelato poi quanto fosse diffusa e pericolosa l’epidemia. Poco dopo Codogno sarebbe diventata la più nota zona rossa d’Italia.

Intanto però le decisioni come quella di spedire gli anziani malati di Covid nelle rsa aveva causato i suoi danni: i morti si contavano a centinaia. Ma ancora si discuteva: tra accuse allo Stato, alla Cina e a tanti altri, la confusione generale ha portato a segnare il triste record di numero di decessi, con il totale che oggi arriva a oltre 25mila persone in Lombardia.

3- UN’ESTATE SPRECATA

Poi è arrivata l’estate e i numeri del contagio sono scesi. Invece che approfittare della pausa per organizzarsi in vista della seconda ondata, Regione Lombardia ha riconosciuto bonus a quei dirigenti di ospedale che chiudevano i reparti Covid per riadattarli agli usi normali. Il risultato di questa operazione è stato che in autunno le stesse strutture hanno dovuto riaprire in tutta fretta i reparti chiusi o rinormalizzati. Di fretta, di nuovo. Nonostante la seconda ondata fosse stata ampiamente annunciata da tutti. E intanto si preparava il definitivo fallimento del tentativo di tracciare il contagio, insuccesso che fu ammesso ufficialmente all’inizio dell’autunno.

4 – FALLIMENTO SU VACCINI

Nel frattempo l’ormai ex Regione modello inciampava persino sui vaccini anti influenza. Quelli canonici, acquistati tutti gli anni per le consuete malattie stagionali. Però le gare furono organizzate male e in ritardo, con l’unico risultato di avere pochi vaccini e di doverne acquistare altri a prezzo maggiorato mesi dopo.

Tutt’oggi in Lombardia è semplice vaccinarsi solo se ci si rivolge a un privato, peccato che i costi siano molti diversi: nelle farmacie (dove non si trova) mediamente una dose costa 12 euro, negli ospedali privati 50. Così come se ci fosse stata una sanità territoriale efficiente, nessuno avrebbe pagato 450 euro per sottoporsi a una visita domiciliare completa.

Invece lo smantellamento della sanità pubblica ha permesso a gruppi come il San Raffaele di proporre cure in teoria dovute a ciascun italiano dallo Stato a prezzi oggettivamente non alla portata di tutti.

5 – RITARDO ANTI COVID

Ora che si vede una luce in fondo al tunnel con la prospettiva dei vaccini, il fallimento organizzativo della Lombardia si è ripresentato uguale a sé stesso: la regione è fanalino di coda per persone vaccinate pur avendo il numero di morti e contagiati più alto di tutti.

L’assessore Gallera si è difeso spiegando che mancano i medici in questi giorni, ma non li ha voluti richiamare dalle ferie perché dopo l’anno passato le meritavano.

Quello che è inaccettabile non è la vacanza di chi ha passato anche 15 ore al giorno in ospedale a salvare vite, ma l’ennesima mancanza di organizzazione: tanto la seconda ondata, come l’influenza erano tutti fattori previsti e prevedibili. Ciononostante la Lombardia è, di nuovo, in ritardo.

Anche solo per spirito di responsabilità l’atteggiamento dell’Amministrazione Fontana pare inconcepibile: come ha dimostrato anche il rapporto OMS pubblicato in maggio e poi insabbiato dalla stessa organizzazione, i primi contagi in quasi tutte le altre 19 regioni sono arrivate da un lombardo o da qualcuno che era stato in Lombardia. Eppure dopo ogni errore se ne sono sommati altri.

Ora le prossime sfide sono la terza ondata, anch’essa prevista, e la riforma della sanità dopo gli ultimi cinque anni di sperimentazione voluti dall’ex governatore Roberto Maroni. Al momento è più una rifondazione, perché della sanità lombarda dopo il 2020 si può solo constatare quanto sia a pezzi.


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