Fabrizio Chiodo
3 minuti per la letturaCROTONE – C’è anche un calabrese originario di Caccuri dietro la strategia di Cuba nel rendersi autonoma nella lotta alla pandemia. Il Paese, all’avanguardia nel campo dell’industria biotecnologica nonostante sia un’isola sotto embargo, secondo i dati raccolti da Carl Zimmer, il giornalista del New York Times che segue lo sviluppo dei vaccini in tutto il mondo, produce l’8% di tutti i vaccini giunti finora alla sperimentazione clinica.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Chiodo, uno dei tanti cervelli italiani in fuga, come li chiamano; un ricercatore partito anni fa dal centro dell’Alto Crotonese. Uno che, dopo la laurea a Palermo e il dottorato di ricerca in Spagna, ha lavorato in due ospedali in Olanda e dal 2013 si reca stabilmente a Cuba, dove collabora con l’istituto Finlay ed è professore di Chimica alla facoltà dell’Avana. Continuerà a lavorarci anche se di recente ha vinto un concorso al Cnr di Pozzuoli.
In cosa differiscono i vaccini cubani da quelli sviluppati negli Usa e nel Regno Unito?
I vaccini a cui stiamo lavorando a Cuba utilizzano approcci completamente diversi. Lavoriamo sulla sub-unità della della proteina dei virus in una formulazione con adiuvanti. Sono buoni, funzionano come quelli di Pfizer o AstraZeneca che per motivi tecnologici ed economici arrivano prima, ma se vogliamo coprire tutto il mondo serviranno diversi vaccini, soprattutto pubblici, e la sanità cubana è totalmente pubblica. A differenza di Usa e Regno Unito, che hanno lavorato su un vaccino, abbiamo quattro vaccini incandidati e quindi ci sarà la possibilità di scegliere il migliore in base ai target di popolazione, compreso chi presenta sintomi più delicati. Soberana 1, per esempio, consiste in una sub-unità della proteina “S” del Coronavirus somministrata con una membrana del meningococco che agisce da adiuvante. È una tecnica già usata per il primo vaccino contro il meningococco di tipo B e C e può essere somministrata dai 3 mesi di età. Soberana 2 presenta la subunità della proteina Spike legata alla proteina tetanotossoide, quella del tetano. Altri due vaccini sono in fase di test presso il Centro per l’Ingegneria genetica e la Biotecnologia di Cuba.
Cuba si conferma all’avanguardia nella ricerca biotecnologica. Quanto tempo ci vorrà per la somministrazione?
Dopo la rivoluzione, Fidel Castro aveva chiaro che il Paese doveva sostenersi difendendosi da un embargo brutale e quindi Cuba aveva la necessità di raggiungere l’autonomia nel campo dell’istruzione e della ricerca tecnologica. Cuba è all’avanguardia, come confermano pubblicazioni scientifiche di ogni tipo, anche nello sviluppo di nuovi vaccini visto che sono ben quattro i candidati vaccinali. Del resto, il 90 per cento dei vaccini che Cuba somministra, li disegna e produce, oltre ad esportarli in Brasile e Argentina. Siamo indietro rispetto a un colosso come Pfizer di quattro o cinque mesi. Penso che a marzo 2021 saremo pronti per la somministrazione.
Sono ancora vive nella memoria le immagini dei medici cubani giunti a Bergamo nella fase cruciale della pandemia…
Cuba è un Paese di undici milioni e mezzo di abitanti e ha avuto 140 morti. Il 93% dei contagiati sono recuperabili con farmaci prodotti dalla biotecnologia cubana. Cuba è il Paese con più medici in base alla popolazione ed ha una sanità totalmente pubblica. Riesce a farlo perché la solidarietà è nel Dna di questa gente, è un concetto di socialismo applicato, altrimenti non riusciremmo a spiegarci per quale motivo un’isola dei Caraibi sotto embargo fa tutto questo, anche per l’Italia.
Il suo giudizio su come è stata gestita la pandemia in Italia?
Non sono un epidemiologo né un politico, ma i Paesi del G20 si sono comportati tutti più o meno allo stesso modo, cercando di controbilanciare la salute con l’economia con un “entra ed esci”. È stato così nella fase 1, nella fase 2, lo sarà nella fase 3, nella fase 4 e chissà quante altre fasi ci saranno. Ma con questo modello economico è un passaggio obbligato. Cuba è un Paese che si pone prioritariamente la salvaguardia della salute; in altri Paesi, per esempio, non ci si pone il problema di salvaguardare il picco calato.
A Caccuri torna spesso?
I miei quattro nonni sono di Caccuri, i miei genitori emigrarono in Belgio. A Caccuri ho le mie radici e ci torno almeno una volta all’anno, anche due quando posso.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA