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Scrisse Pietro Calamandrei: “Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere”. Un miracolo che è tanto più importante per un Paese come l’Italia: vista nella tela dei secoli, lunghe e alterne dominazioni straniere hanno forgiato nella Penisola una diffidenza profonda fra cittadini e Stato. Quest’ultimo, con la sua soffocante burocrazia, considera i cittadini come sudditi.

E il reticolo delle regole soffoca, appunto, senza grandi risultati: come disse Riccardo Bacchelli nel «Mulino del Po», le regole intrusive dello Stato erano (e sono ancora) «vessatorie per i galantuomini quanto impotenti per i furfanti».

E i cittadini reciprocano difendendosene, o con comportamenti elusivi – vedi l’evasione fiscale – o con amara rassegnazione (‘Franza o Spagna purché se magna’).

Di questo ‘miracolo’ della scuola il Mezzogiorno, dove quella diffidenza è più profonda che altrove, ne ha un grande bisogno. Ma tutti i dati mostrano che le risorse che lo Stato destina all’istruzione nel Mezzogiorno sono più magre che altrove. E i risultati si vedono – vedi tabella – nei tassi di scolarizzazione.

Per quanto riguarda la fascia di età 25-64 anni, la scolarizzazione a livello di istruzione secondaria era ancora, nel 2019, molto più alta nel Centro-Nord rispetto al Sud.

Le cose sono migliorate nella fascia di età più giovane (25-34 anni) dove i tassi di scolarizzazione sono molto simili. Ma nell’istruzione terziaria – essenziale adesso che l’economia è soprattutto ‘economia della conoscenza’ – il divario non solo rimane, ma si aggrava, nel confronto fra il 2008 e il 2019.

Il calo demografico nella fascia dei 19enni si è concentrata al Sud (dal 2000 al 2017) e ha portato in Italia a un numero minore di immatricolazioni nelle università, ma la caduta delle immatricolazioni è stata, in numeri assoluti, molto più forte nel Mezzogiorno.

Per la variabile cruciale della spesa in conto capitale per l’istruzione, i dati più recenti (2018, basati sui conti pubblici territoriali del Settore pubblico allargato) ci dicono che, in termini di euro pro-capite costanti, sono stati spesi 74 euro nel Centro-Nord e 46 euro nel Mezzogiorno (medie dei dati regionali ponderate con il numero di abitanti).

Nei dati più recenti, anche le statistiche sulla percentuale di giovani che abbandonano prematuramente gli studi sono sconfortanti (gli ‘ELET’ sono gli ‘Early Leavers from Education and Training’). I dati per il Mezzogiorno sono ben al di là di quelli del Centro-Nord, e sistematicamente ben superiori a quelli del ‘Target Europa 2020’.

Nel 2019 in Italia ancora quasi 570 mila giovani, di cui 290 mila nel Mezzogiorno, pur avendo al massimo la licenza media, abbandonano il sistema di istruzione e formazione professionale. Come scrisse Don Lorenzo Milani: “Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Come era da attendersi, il divario quantitativo si porta dietro un divario qualitativo.

Come recita il Rapporto Svimez (da cui abbiamo tratto le tabelle), le «indagini internazionali convergono nel mostrare un significativo ritardo degli studenti italiani nei livelli sia di conoscenza, sia di competenza, ovvero nella capacità di utilizzare conoscenze e abilità in contesti specifici che caratterizzano le condizioni di vita odierne».

Nell’indagine PISA «l’Italia si colloca sistematicamente al di sotto della media dei paesi avanzati e intorno al ventesimo posto nell’Unione europea. Un dato particolarmente preoccupante è che quasi un quarto dei giovani italiani non raggiunge la soglia di competenze (il livello 2 di PISA) internazionalmente ritenuta come quella minima per entrare a far parte della società a pieno titolo: nelle regioni meridionali questa percentuale è intorno a un terzo. Il divario qualitativo nel confronto livello internazionale riproduce, peraltro, il dualismo territoriale interno al nostro Paese».

Insomma, la scuola non è uguale per tutti. Il riscatto del Mezzogiorno deve partire dal sistema di istruzione, un ‘cantiere’ civico ed educativo che è il più importante volano per superare storici e umilianti divari. Il Centro-Nord ha, per la scuola, più trasporti, mense e progetti educativi rispetto al Sud.

E la già menzionata differenza negli investimenti per le scuole fa sì che il «patrimonio edilizio scolastico diffuso, al Centro e nel Settentrione è mediamente più controllato, sicuro e manutenuto di quello diffuso nel Meridione e nelle Isole».

I bassi tassi di scolarizzazione al Sud «incidono irreversibilmente sui processi di accumulazione di capitale umano e, nel lungo periodo, sui processi di crescita economica del Paese». Non bisogna stancarsi di ripetere che il ‘gioco’ del contrasto al dualismo territoriale italiano non è un gioco a somma zero.

Non consiste nel dare al Sud una fetta più consistente delle risorse, lasciando invariata la ‘torta’. Il gioco è a somma positiva: le risorse in più al Mezzogiorno fanno lievitare la crescita per tutto il Paese e riducono il divario (dualismo esterno) fra la crescita italiana e quella del resto d’Europa.


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