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Il porto di Gioia Tauro

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La riunione dei presidenti delle Regioni sollecitata dal presidente della Campania è un’iniziativa che supplisce alla mancata mobilitazione dei colleghi del Sud per contestare la bozza del Pnrr presentata al Consiglio dei ministri pochi giorni or sono e che, invece, ha ricevuto immediato apprezzamento e benedizione (si veda la Voce).

Una riunione in remoto dati i tempi, quindi non presso la Conferenza Stato-Regioni, luogo delle seriali sconfitte – spesso per abbandono – delle regioni del Sud. Nulla ora si sa sull’esito, ma al di là delle prevedibili giuste perentorie contestazioni al surreale documento del governo, i presidenti del Sud dovrebbero finalmente trovare il modo per affrontare i problema annosi e molto concreti che investono i poteri, la governance e le funzioni della Conferenza; sono problemi che hanno molto a che fare con l’urgenza che li vede riunirsi in quella formazione.

Non è cosa da poco fare chiarezza su un organo, costituzionalmente inesistente, produttore di “intese” con le quali spiazza e toglie ruolo al Parlamento, con una governance da sempre appaltata alla Triplice dell’autonomia e che riesce a subordinare a “future intese sull’autonomia” finanche l’uso di risorse iscritte nella legge di bilancio. Un (larvato?) ricatto oggetto di un compiaciuto comunicato stampa dell’ ineffabile Conferenza. Un immediato “Aventino attivo” delle regioni meridionali dicotomizzerebbe e delegittimerebbe il metodo delle “intese” ponendo aspetti rilevanti di legittimità a partire da quello del controllo che la Triade dell’autonomia rafforzata esercita da sempre.

Il problema sollevato dal presidente della Campania ne adombra quindi altri strettamente connessi per affrontare razionalmente i quali occorre comprendere fino in fondo i criteri inderogabili per l’ uso delle risorse del Recovery Fund da tradurre in un coerente Recovery Plan.

La stella polare sono le condizionalità dell’Unione Europea. Le “quote” minimali possono fare da argine al “furto” denunciato ma non risolvono il problema del Paese che non solo o non tanto sulle “quote” dovrebbe vigilare quanto sul progetto-sistema per l’ Italia che il Recovery Plan dovrebbe definire. L’unicità del caso italiano sta nel caratteristico crescente distacco tra la realtà percepita, “narrata” e la realtà effettiva scarsamente indagata e per molti versi addirittura esorcizzata anche di fronte ai concreti richiami a guardare in faccia le cose che – ad esempio – proprio l’ Europa ci rivolge.

Di questa illusione ottica sono preda carnefici e vittime. La realtà è che la parte sedicente forte del sistema non è più da decenni trainante. Il suo “benessere” relativamente decrescente si è alimentato dalle svalutazioni competitive prima dell’euro e poi dalle ricorrenti svalutazioni interne, sempre meno efficaci e foriere della progressiva stagnazione bruscamente interrotta dalla crisi verticale del 2007. Quella cesura conclude la stagnazione a tassi ancora positivi e inaugura una stagnazione talmente in negativo che nel 2019 – alle soglie della pandemia – né il Nord né ovviamente il Sud hanno recuperato i livelli del Pil del 2007. Il corto circuito della pandemia trascina il Nord e Sud ancore più lontano dall’Europa e ci porta oggi ai nastri di una auspicata “ripartenza”, in posizione profondamente più critica di quella del 2019.

Una onesta analisi delle vicende di almeno trenta anni dovrebbe finalmente aprirci gli occhi facendoci vedere come fin dall’inizio degli anni ’90 all’alibi delle locomotive trainanti, si è connesso il dovere di “non disturbare” il macchinista. Prendere atto del significato di tutto ciò e metabolizzarne il senso è oggi un dovere. Non sembra invece chiaro che questo sia pienamente compreso nelle sacrosante recriminazioni del Sud. In altri termini prima di accapigliarsi per le percentuali delle risorse (che ci vede deboli come la linea Maginot), occorre imporre il confronto su un progetto non di singole regioni ma del Paese, di Nord e Sud.

Questa emergenza che rende estremamente chiaro che il fulcro sul quale fare leva non può che collocare a Sud il motore che consente di disincagliare il Sistema Italia e rimettere in marcia Sud e Nord solo che riescano a vedere la loro enorme rendita potenziale che si chiama Mediterraneo. Un mare che non è importante per la via della seta, che non ci riguarda, bensì perché è il mare dove si affacciano i mercati e la demografia del futuro, una piazza di scambi, non luogo di soli transiti, non una barriera ma un mezzo che da sempre unisce.

C’è da farsi una semplice domanda su quale sia la condizione affinché si realizzi il caso 1 o, viceversa il caso 2. Molto semplice ritengo sia la risposta. Il caso 1 può realizzarsi solo con un drastico mutamento di rotta, il caso 2 con la prosecuzione di una dinamica che aspira a “riprendere a crescere come prima”. Stato-Regioni che di fatto spiazzano sistematicamente il Parlamento.

Le dicotomizzazione delle “intese” forse imporrebbe all’attenzione del governo centrale un freno al metodo che di fatto per ottenere una radicale riformulazione e chiarezza di compiti e metodi di governance di questa anomala conferenza che di fatto espropria il Parlamento senza precisi criteri di rappresentanza all’ombra di un potere d’indirizzo saldamente in mano alla Triplice territoriale dell’autonomia rafforzata che sarebbe davvero tempo di porre fine rimescolando le carte per quel che riguarda l’ operatività, le procedure di governo di quel consesso extraparlamentare che lo surroga di fatto di quella istituzione debordante, asimmetrica e di fatto la reale conduttrice di decenni di politiche fuori dalle regole.

Chiedono, quelli del Sud, anzi obiettano in merito al Pnrr presentato al Consiglio dei ministri pochi giorni fa. Dire che il documento è problematico è dire poco; per molti versi è surreale e quindi sono più che giustificate le infastidite reazioni del presidente De Luca e – immagino – dei suoi colleghi meridionali. Ci sono però alcune possibili considerazioni che immagino anticipano alcune obiezioni dei colleghi del Nord – di quelli ancora nella sempre più esigua schiera – di regioni che si possano definire ancorai buona salute. Non sembra quindi che tutto il centro Italia distrettuale sia di questa schiera, ancor di meno il Piemonte e direi anche Liguria e Friuli Venezia Giulia. Questo stando alle dinamiche in atto in quelle economie.


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