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Una Calabria «che unisce e separa, attira e respinge». Nostalgia contadina imbevuta della necessità di un presente confuso. I Parafonè, al giro di boa del decennio di attività, sono alla prova del secondo album “Disperanza” (CNI), presentato qualche giorrno fa al Teatro Impero di Chiaravalle. L’epica passata viene calata dentro un bagno di nervosismo urbano. A Otello Profazio e Eugenio Bennato si affiancano Fabrizio De André e David Byrne: “Na primavera” esprime benissimo questa tendenza, con l’utilizzo simultaneo di strumenti tipici di tradizione (lira, pipita) e strumenti etnici (didjeeridoo, djembè). Marranzano, basso elettrico e bouzouki dialogano virtuosamente in “Tantu campa n’Arrè”, canto tradizionale di Mesoraca con un parlato, una sorta di mantra tratto da “L’uguaglianza” di Achille Curcio, un apologo che ripropone l’eterna regola della “livella”. Al mondo c’è chi mangia e chi digiuna, chi pratica l’odio e chi il perdono. Ci sono i re e gli afflitti, vite diverse ma, alla fine della corsa, morti uguali: “muore il poveraccio e muore anche il barone, e solo allora capirai l’uguaglianza”. Bello il finale di “Amuri galera”, chitarra battente e zampogna, suoni antichi ma messi sopra un tappeto di elettricità umbratile, incalzante. “Arilè” riconcilia con gli elementi, restituiti umanizzati: “io sono la terra e ora voglio semente”, e la luna diventa una “sorella lontana” alla quale parlare nelle notti luminose. Raccontando storie di briganti, canti d’amore, di galera, feste e balli, le stagioni e la natura, i musicanti di Serra San Bruno saldano se stessi e la propria opera dentro una tradizione popolare consolidata, che si tende comunque a personalizzare con innesti di sensibilità contemporanea. Due pezzi non composti dalla band portano la firma di Otello Profazio: il testo di “A muttetta”, un brano scoppiettante che esalta l’amore e la danza (“L’amore è fatto come un muro a secco, si fa in un anno e si rompe in un’ora, ah bella figliola, ah questa musica mi fa ballare”) e l’orgogliosa “Tirannimicumio”, eseguita dal frontman Bruno Tassone in solitaria, come un omaggio, a sigillare la scaletta del disco. I Parafonè con la loro “disperanza” uniscono i fili tra disperazione e speranza, il loro è un affettuoso canto di protesta. Una musica fiera e non pacificante, quella dei Parafonè, che non rassicura, ma neanche risulta retoricamente combattiva. 

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