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L’Italia è specialista nel cercare Gesù Cristo. Inneggiare a Gesù Cristo e crocifiggerlo il giorno dopo. Questo gioco purtroppo appartiene un po’ agli esercizi ricorrenti della politica italiana e oggi si esercita con Mario Draghi che è l’uomo che ha salvato l’euro con tre parole e che è universalmente riconosciuto come la voce dell’Europa nel mondo.
Siamo al nuovo ’29 mondiale e potremmo fare tesoro dei consigli del banchiere centrale più innovativo che ha fatto la storia e di uno statista che è stato l’architetto politico della nuova Europa. Invece no.
Ci piace disegnare scenari, risolvere sempre tutto con il quadro politico mentre c’è un drammatico bisogno di agire subito e bene. Di dire come stanno davvero le cose in economia e di fare tutto quello che va fatto. Non di spargere ottimismo di maniera, rinviare le decisioni e dare un pochino a tutti. Perché così non si va da nessuna parte.
Il piano francese per il Recovery Plan è già pronto. Ci sono le scelte. Ci sono le cifre. Si comprende la missione politica. Noi di contenuti e di priorità parliamo pochissimo. Non si elabora e non si fa condividere la missione nazionale, ma si pensa alle caselle di governo di una Triade ministeriale e non di coinvolgere l’amministrazione cambiando quello che si deve cambiare per dare esecuzione al progetto. No, si parla, non si capisce come non si capisce dove, di trecento “ubriachi” che dovrebbero andare sballottati da un ministero all’altro per fare correre ciò che sarebbe invece condannato all’immobilismo. Vogliamo essere come sempre diretti.
Siamo contenti che il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, abbia preso penna e carta e abbia scritto agli altri Presidenti delle Regioni del Sud per denunciare “il furto” da 20,92 miliardi in danno del Mezzogiorno e delle sue Regioni.
L’Italia è il primo beneficiario del fondo perduto per un importo di 65,4 miliardi proprio perché inversione di Pil e tasso di disoccupazione dei territori meridionali obbligano l’Europa a attribuire una dote così straordinaria all’Italia e a chiederne conto in termini di coesione. Non si scherza più perché questi soldi di cui si parla da mattina a sera sono a fronte di progetti ben fatti e rendicontabili. Per cui non si può togliere al Mezzogiorno ciò che gli spetta ma il Mezzogiorno deve essere capace di utilizzare questa cassa per fare nei tempi prestabiliti la banda larga ultraveloce, progetti veri che valorizzino il capitale umano e la ricerca, la nuova rete ferroviaria veloce, il riassetto dei porti, e poco altro.
I Presidenti delle Regioni, come chiede questo giornale da un anno e mezzo per i diritti di cittadinanza e da qualche mese per il Recovery Plan, parlino con una sola voce, ma escano per sempre dalla logica dei progetti sponda e delle piccole clientele. Si ricordino tutti sempre che il discorso macro è oro colato, non si può continuare a sottrarre risorse dovute al Mezzogiorno, ma il discorso micro non può più essere il marcio di sempre. Perché il merito per i nostri giovani di talento deve ancora arrivare.
Così come il Nord e i suoi Capetti delle Regioni della Sinistra Padronale e della Destra a trazione leghista avranno sempre il nostro pieno sostegno per un grandissimo investimento in Industria/Impresa 4.0 perché l’Italia può ripartire solo se ripartono i due motori insieme. A patto, però, che la si smetta di spacciare carrelli e montacarichi come innovazione e a condizione che le piccole imprese si fondano perché la differenza di produttività tra media e piccola è sotto gli occhi di tutti.
È inutile dare soldi a chi non ha la dimensione minima necessaria per aumentare la produttività. Anche questo significa scegliere le imprese da salvare e fare le cose giuste.
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Mario Draghi, Dottor Jekyll e Mister Hyde
Draghi ha salvato l’Euro, dopo che, per ubbidire alla Germania di Merkel e Schaeuble, aveva contribuito a portarlo sull’orlo del burrone, affossando l’economia degli Stati del Sud, inclusa l’Italia. Ricordate la famosa lettera del 5.8.2011, firmata assieme a Trichet, prima ancora di diventare presidente della BCE? Con quella lettera, inviata anche per conto del Consiglio e della Commissione, impose al governo Berlusconi la seconda, pesante, manovra finanziaria correttiva (13.8.2011), di 65 mld cumulati, appena 39 giorni dopo la prima (6.7.2011), pesantissima, di ben 82 mld cumulati, voluta dalla Commissione e dal Consiglio, e l’anticipo del pareggio di bilancio al 2013, dopo che appena nel maggio precedente, nella sua relazione come governatore della Banca d’Italia, aveva approvato i conti dell’Italia. Pretese quella manovra in cambio degli acquisti – del tutto insufficienti – di titoli di Stato italiani, nell’ambito del programma SMP.
E ha varato il QE nel marzo 2015, esattamente con un ritardo di 6 (sei) anni rispetto alla FED e alla BoE, per non parlare della BoJ. Violando il proprio statuto, derivato dai Trattati UE.[1] Nel frattempo, in Italia, c’è stata una doppia, profonda recessione, con conseguenze negative equivalenti a quelle di una guerra.
[1] Motivo per il quale, come semplice cittadino europeo, presentai nel novembre 2014 una petizione al Parlamento Europeo, che è ancora all’esame della Commissione PETI, con due tentativi del suo Segretariato di archiviarla, dopo che la BCE aveva dato una risposta del tutto ridicola.
Gestione del PNRR
Non scherziamo, dare la gestione (la Bozza del PNRR la chiama governance) e il controllo (la Bozza del PNRR lo chiama monitoraggio) dei soldi del PNRR alle Regioni o coinvolgerle in maniera operativa solo perché finalmente i presidenti delle Giunte regionali si sono svegliati dal loro lungo sonno colpevole, significa certissimamente far fallire il piano. La gestione va data a una struttura centrale di alto livello di competenza (CDP, BEI, ENI, Banca d’Italia), che abbia ramificazioni anche nelle Regioni, prendendo i migliori. Severità, please, direttore Napoletano.
I grandi progetti per il Sud si conoscono già, non ci sarebbe neppure bisogno di chiederli alle Regioni.
A quelli che si conoscono già, io ne aggiungerei due, non previsti da nessuno: (i) un grande Piano pluriennale di case popolari di qualità; e (ii) un Progetto Educativo rivolto alle famiglie a casa, in particolare alle mamme in gravidanza e nei primi tre anni di vita dei figli, vale a dire il periodo in cui si sviluppano le sinapsi che collegano i 100 miliardi di neuroni di cui ciascuno di noi è dotato alla nascita, a condizione però di venire sollecitate dall’interazione con l’ambiente altrimenti si atrofizzano e muoiono. Dopo i 3 anni, è già tardi.