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Matteo Renzi durante il suo intervento in Senato

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Se l’idea era quella di arrivare al Consiglio europeo in programma oggi e domani a Bruxelles con l’ok al Piano nazionale di ripresa e resilienza, in modo da ridimensionare le voci di un ritardo italiano e tranquillizzare chi teme che le liti tra le forze di maggioranza possano mettere a rischio il processo europeo, il premier Giuseppe Conte ha dovuto rinunciarvi.

E neppure può garantire sulla stabilità del suo governo. Il Recovery Plan è finito in ostaggio dell’impasse politica che ha travolto la struttura di missione disegnata da Palazzo Chigi e dal Mef per gestire i 209 miliardi del Next Generation Eu. Italia viva ha posto il veto, con Matteo Renzi ad alzare il tiro fino a ventilare martedì la rottura con Conte. E ieri nell’aula del Senato, con un intervento concitato, dopo aver assicurato il sostegno sul Mes, ha dato a Conte l’ultimatum: «Diciamoci le cose in faccia: ora l’Italia ha occasioni che non ha mai avuto in passato.

L’Italia può dettare la linea dalla presidenza del G20. I duecento miliardi sono una conquista ma anche una grande responsabilità: noi non scambieremo il nostro sì alla proposta di governance con uno strapuntino. Non stiamo chiedendo che nella cabina di regia ci sia uno nostro». Renzi è andato avanti come un fiume in piena: «Non va bene che ci arrivi alle 2 di notte un emendamento alla manovra, una proposta con manager al posto dei ministri. Colleghi del Pd, eravamo nello stesso partito quando uno di noi firmò un ricorso alla Corte contro chi non voleva farci discutere la manovra. Allora era Salvini, ora è lo stesso. È una discussione essenziale per le istituzioni». Ha dato la disponibilità a discutere in un dibattito parlamentare «aperto e franco», ma, ha affermato, «non siamo disponibili a utilizzare la legge di bilancio come il veicolo nel quale si introduce quello che abbiamo letto sui giornali. Se c’è una norma che mette la governance con i servizi votiamo no».

Renzi si è detto, poi, convinto che prendere «300 consulenti quando si tagliano 300 parlamentari, significa coltivare un’idea di politica che non condivido. Un governo – ha affermato – non può essere sostituito da una task force, un Parlamento non può essere sostituito da una diretta Facebook. Non è immaginabile che di fronte a 200 miliardi, che vuol dire debito pubblico, noi rinunciamo a essere parlamentari».

La critica si è estesa all’impiego delle risorse sulle diverse missioni del piano: «Chi ha deciso» che soltanto «9 miliardi» del Recovery vanno alla Sanità? Ne servono il triplo, serve il Mes. Ed è normale che al turismo vadano 3 miliardi? Chi lo ha deciso? Il turismo è una delle voci principali della ripartenza, specie al Sud, ma vi sembra sembra normale che il Parlamento stia zitto?». Poi l’attacco finale che ha strappato applausi anche all’opposizione: «Se i suoi collaboratori telefonano ai giornali per dire che vogliamo una poltrona in più, sappia che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre, due da ministro e una da sottosegretario, nostre a sua disposizione. Se invece vuole ragionare sul serio spieghi che questo non è un talk show, non è il Grande Fratello ma la politica».

Sulla struttura, nel frattempo, i tecnici di Palazzo Chigi e del Mef continuano a lavorare per limare i punti più discussi. Resta il comitato politico in cui siedono il premier, i ministri dell’Economia, Gualtieri, e del Mise, Patuanelli, la task force con i sei manager, con alle dipendenze un gruppo di esperti per la messa a terra dei progetti. Ma sui poteri in deroga previsti per i super manager si dà prova di disponibilità ponendo sul tavolo la possibilità che siano subordinati al via libera non più del triunvirato, ma del Cdm. Intanto, nonostante la struttura sia in stand by, comincia a impazzare il totonomi sui capomissione. Ma per ora, si assicura, non c’è stata nessuna convocazione formale. Tra i nomi circolati, quello di Riccardo Cristadoro, consigliere economico del premier, Massimo Sabatini, direttore dell’Agenzia della coesione territoriale, Stefano Paleari, ex rettore a Bergamo, e Fabrizio Barca il quale si è già ufficialmente sfilato con un tweet in cui addirittura boccia la struttura di missione: «La governance non va, dovete cambiarla. Punto».


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