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REGGIO CALABRIA – «Hanno fatto nomi, i nomi .. di tutte le persone .. praticamente del responsabile provinciale. Ci hanno consumato con un’associazione. Un’associazione di ‘ndrangheta». A parlare così è il boss Giuseppe Pelle, di 52 anni, nella sua abitazione di Bovalino con due emissari delle cosche della fascia tirrenica che vanno a trovarlo per manifestare la preoccupazione di quello che sarebbe stato poi individuato come il capo crimine Domenico Oppedisano dopo il ritrovamento di due microspie nell’auto di due affiliati di Reggio Calabria. L’intercettazione è antecedente all’operazione Crimine che nel luglio del 2010 portò a oltre 300 arresti tra la Calabria e la Lombardia ed è agli atti dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria conclusa stamani dall’operazione condotta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio con l’arresto di 26 persone. Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa, favoreggiamento aggravato dalle modalità mafiose e inosservanza della pena per la rete di copertura offerta alla latitanza del boss Antonio Pelle detto “gambazza”, arrestato dal Ros nel giugno del 2009 dopo 9 anni di latitanza e morto nel novembre successivo per sue precarie condizioni di salute quando aveva 77 anni. Dalle indagini è emerso che Antonio Pelle aveva goduto di una serie di appoggi. Dalle intercettazioni è emerso che dopo un periodo trascorso nei bunker di Contrada Ricciolio, il vecchio boss era stato ospitato a Careri, successivamente si era spostato a Natile Vecchio di Careri, per poi essere trasferito in provincia di Cuneo. Infine, dal dicembre 2008 fino ad aprile/maggio 2009, Pelle aveva trascorso la latitanza a Santo Stefano d’Aspromonte.

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