Il professor Ciro Indolfi in sala operatoria
4 minuti per la letturaIl rischio concreto è di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid». Un lavoro di anni può essere compromesso da scelte illogiche in Italia. Ciro Indolfi, napoletano d’origini e calabrese d’adozione, allievo del dottor John Ross Jr. presso la Division of Cardiology dell’Università della California, di San Diego e di La Jolla, nonché del professor Massimo Chiariello dell’Università Federico II di Napoli, non è semplicemente oggi il direttore generale dell’Unità operativa di Cardiologia del Policlinico Universitario Mater Domini di Catanzaro, ma è soprattutto l’uomo che in vent’anni ha realizzato un miracolo nella terra più dimenticata d’Europa.
Secondo l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), la Cardiologia di Catanzaro è al secondo posto in Italia per il trattamento dell’Infarto Acuto (935 ricoveri), preceduta dal Policlinico Sant’Orsola di Bologna (1.033 ricoveri) e seguita dall’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli (853 ricoveri). Una eccellenza del Sud che il Nord può invidiare tranquillamente, costruita dal nulla, grazie alla professionalità di Indolfi, a un equipe di spessore e a strumenti all’avanguardia. Il miracolo ha queste basi e la realtà ci dice che la Cardiologia del Policlinico di Catanzaro è stata riconosciuta come uno dei migliori ospedali e tra i tre migliori in Italia dove essere curati per un infarto miocardico acuto.
Il reparto, inoltre, è leader nel settore dell’interventistica coronarica, nell’impianto percutaneo della valvola aortica e nel trattamento delle sindromi coronariche acute. Si bistratta spesso la sanità del Mezzogiorno, in generale e quella calabrese, in particolare, “ignorando” che da Roma in giù c’è una terra di grandi menti e di veri scienziati, soprattutto in campo sanitario. Anche quando si è costretti all’emigrazione sanitaria, e ci si trova in una delle blasonate strutture ospedaliere del Nord, nella maggior parte dei casi ci si trova al cospetto di luminari con sangue meridionale nelle vene.
«La Calabria e il Sud fanno notizia solo per l’ex commissario Saverio Cotticelli e le sue uscite – si è sfogato Indolfi – E poi basta con questo stereotipo della malasanità al Sud. Qui ci sono centri e professionalità eccellenti. Ma la politica se ne fotte, come se ne è fottuta che adesso Catanzaro è seconda in Italia. Ciò dimostra se c’è professionalità e volontà le cose si possono fare al Sud, anche bene e migliori rispetto al Nord. L’ostinazione e l’impegno hanno ripagato, in un contesto fortemente penalizzante. La Cardiologia del Campus è stato il primo centro pubblico a portare in Calabria il trattamento dell’Infarto con lo stent, è stata pioniere nel trattamento dell’impianto percutaneo della valvola aortica (Tavi) ed è l’unico centro calabrese che effettua la riparazione senza bisturi della valvola mitrale. La politica, però, non fa niente per incentivare».
Tutto ciò assume ancora più importanza in queste settimane in cui tutta la Sanità è focalizzata sul Covid piuttosto che alle patologie cardiologiche. L’effetto di tutto ciò nella prima ondata della pandemia ha determinato un incremento di almeno tre volte la mortalità per infarto in Italia, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo uno studio pubblicato dalla Società Italiana di Cardiologia (Sic). Secondo i dati si è passati dal 4,1% al 13,7%.
«Nella prima ondata i pazienti hanno avuto paura di andare in ospedale. C’è stato un vero e proprio caos sanitario. Adesso una Cardiologia bloccata dal virus provocherà molti morti ed un aumento di infarti ed Ictus. L’infarto tempo-dipendente e va garantita l’operatività delle strutture» sottolinea Indolfi, che parla anche in qualità di vicepresidente della Confederazione degli oncologici, cardiologi e ematologici (Foce) che rappresenta più di 11 milioni di pazienti cardiopatici oncologici o ematologici. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. La tempestività dell’intervento può fare la differenza fra la vita e la morte. «Ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave, infatti, la mortalità aumenta del 3% e un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità – rileva Indolfi – Non possiamo permettere il depotenziamento delle cardiologie ed è necessario riorganizzare negli ospedali percorsi ad hoc per i pazienti cardiopatici acuti che dal territorio si ricoverano in urgenza».
È un dramma nel dramma quello che si sta consumando sulla pelle di tanti pazienti in Italia. «Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica e convertite in terapie intensive Covid. Se non metteranno in campo strategie di recupero dei posti letto e degli ambulatori cardiologici, di ripristino degli interventi di angioplastica coronarica, di Tavi o Clip mitralica perderemo i vantaggi in termini di sopravvivenza legati alle grandi innovazioni terapeutiche della cardiologia», ha denunciato Indolfi.
Si assiste oggi con enorme preoccupazione alla sottrazione di chance di cura, che rischia di vanificare vent’anni di progressi nella riduzione della mortalità per questi pazienti e vent’anni di lavoro per realizzare i grandi miracoli sanitari nel Mezzogiorno. Uno dei punti irrinunciabili per la tutela delle persone con malattie cardiologiche riguarda proprio la garanzia della piena operatività di tutte le strutture sanitarie, anche a livello ambulatoriale. Al Governo e alla Regioni tocca intervenire per porre un argine a questa situazione.
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