Il premier Conte in collegamento con i governatori
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Lo scontro Stato-Regioni segna il punto di non ritorno. Dalle riunioni ristrette, dai conciliaboli segreti, dalle intese regionali bipartisan, siamo passati alla rivolta corale per respingere al mittente l’ultimo Dpcm. Il casus belli è poco più di un pretesto ma è altamente simbolico: il tavolo di coordinamento sui trasporti presieduto dai prefetti. Un passaggio che i presidenti delle regioni vogliono ostacolare in tutti i modi. Un provvedimento vissuto come una invasione di campo, una ingerenza indebita dello Stato. Un peccato di lesa maestà.
Il punto G dell’articolo 1 è il punto più controverso: prevede l’istituzione “presso ciascuna prefettura e nell’ambito della conferenza provinciale permanente di un tavolo presieduto dal prefetto per la definizione del più idoneo raccordo degli orari dei servizi di trasporto pubblico locale urbano ed extraurbano”. Una misura “volta ad agevolare frequenza scolastica anche in considerazione del carico derivante dal rientro in classe degli studenti”. Tutto qui. Ma è bastato per scatenare il finimondo. Al grido di “arrivano i prefetti” i governatori hanno fatto quadrato.
Inutile dire che non siamo dunque alle prefetture fasciste. Né al prefetto di ferro Cesare Mori che combatté contro la mafia. Tantomeno, andando più a ritroso nel tempo, a quei prefetti inviati dai Savoia per piemontizzare l’ex Regno delle Due Sicilie. La situazione ora si è rovesciata. La nemica è Roma che “manda i prefetti”. La propaganda gongola. Stiamo parlando di un intervento pensato per evitare lo sfacelo 2. La disorganizzazione che tra settembre e ottobre ha contribuito a gonfiare la seconda ondata. Gli autobus presi d’assedio, le metropolitane nere di folla, la gente in attesa alle fermate.
È bastato sfiorare una delle competenze regionali, qualcosa che i governatori considerano loro esclusiva prerogativa per (ri) sollevare la bandiera dell’autonomia. “Ci stanno esautorando, stiamo tornando alle prefetture fasciste”. Parole di piombo in libera uscita. Poco importa se nel testo dell’ultimo Dpcm sfornato da Palazzo Chigi si dica a chiare lettere che al tavolo parteciperanno anche il presidente della Regione, i sindaci delle città metropolitane e gli altri sindaci eventualmente interessati. Con tutto il codazzo di assessori ai trasporti – quelli che alla prima riaperture delle aule si erano fatti provare impreparati – più i dirigenti dei ministeri, ognuno per le proprie rispettive competenze.
TRAILER DI NATALE
Il resto è il trailer di Natale a Cortina o se preferite a Courmayeur. Un cinepanettone che, chiuse le sale, va in onda ormai da tempi per contestare la chiusura delle piste da sci. Psicodramma collettivo, disastro economico da non sottovalutare, anzi. Non meno grave però per tante altre categorie che il Covid 19 ha messo in ginocchio e sta mettendo a dura prova.
Ad onore del vero anche Palazzo Chigi ci ha messo del suo. Non è normale, infatti, che diposizioni tanto attese siano arrivate alle regioni notte tempo, per l’esattezza all’1,56. E che alcune delle richieste più ragionevoli non sia state prese in considerazione. Non si è pensato, ad esempio, che vietare lo spostamento tra un comune e l’altro è una misura che calata in una regione piccola e montana come la Val D’Aosta è una sorta di confino. Nel raggio di 5 chilometri può capitare di attraversare tre municipalità diverse. Che alcune di queste zone siano prove di punti di ristoro e servizi alle persone e dunque gli spostamenti da un comune all’altro siano inevitabili.
ERIK LAVEVAZ
La mente che ha concepito l’ultimo Dpcm è riuscita a generare l’obbrobrio che ha dato gambe e fiato alla rivolta. Al punto da trasformare Erik Lavevaz, il governatore del Val d’Aosta, uno che non è certo un gilet giallo, in un capopopolo pronto a scendere sul piede di guerre e ha sfidare lo Stato prorogando di due giorni l’ordinanza impugnata dal governo in attesa che da domenica prossima la regione entri nello scenario3. Ed è già pronta una nuova ordinanza per contrastare quella che viene vissuta come una norma considerata iniqua. Come finirà? Se si continua così, a colpi di ordinanze, sollevando la rabbia delle cittadinanze, di questo passo ci vorrà l’Esercito, quello che l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno invocava alla prima emergenza, fosse anche un refolo di vento. Per evitare altri colpi bassi è pronto il Decreto legge 158 che ripropone le stesse disposizioni del Dpcm e tra questi il divieto di spostamento tra regioni e tra comune e comune. Peccato che per convertirlo in legge potrebbero essere necessarie più di 3 settimane e dunque se ne parlerà dopo Natale, quando forse non servirà più.
Le altre perplessità dei governatori non sono del tutto campate in aria, a partire dal famoso protocollo vistato dalle regioni ma non dal comitato tecnico scientifico. Quella complessa procedura dove si prevede che il passaggio da una scala cromatica all’altra, dal rosso all’arancione e dall’arancione al giallo o viceversa richieda un tempo predeterminato. Motivo di litigio nella conferenza Stato-Regioni è stato aver codificato il fatto che nel momento in cui si scende di criticità, da uno scenario ad un altro, ci si debba fermare almeno 14 giorni. Una quarantene regionale che prescinde dall’incide Rt (in Val d’Aosta la curva dei contagi si è appiattita, da ieri è allo 0,70). Non sono piaciute ai governatori le parole del ministro alla Salute, Roberto Speranza. L’aver detto che ognuno in questa pandemia dovrà prendersi la responsabilità delle proprie scelte è stato avvertito come di minaccia. “se ci saranno conseguenze la responsabilità è la vostra”.
METODO CONTESTATO
L’elenco delle accuse è lungo: il decreto della presidenza del Consiglio sarebbe stato approvato senza un preventivo confronto tra le regioni, “un metodo – si legge nel comunicato dei “rivoltosi” – che contrasta con lo spirito di leale collaborazione sempre perseguito nel corso dell’emergenza considerato peraltro che la scelta poteva essere anticipata anche nel corso del confronto preventivo svolto solo 48 ore prima.
E il mancato confronto accusano i governatori non ha consentito di portare a soluzioni più idonee per contemporanee le misure di contenimento del virus e il contesto id relazioni familiari e sociali tipiche del periodo delle festività natalizie. Si lamenta infine il mancato riferimento nei decreti ristori delle norme richieste dalle regioni e dalle province autonome e delle province autonome sui ristori economici delle attività che subiscono limitazioni e chiusure, un ristoro più volte richiesto. E c’è già chi è disposto a giurare che sin dalle prossime ore dal nulla spunterà un emendamento, un codicillo, un finanziamento riparatore.
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