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CATANZARO – Una cosca potentissima, rafforzata da  matrimoni tra famiglie e dai legami con esponenti del mondo delle professioni e non solo. Il clan dei Giampà di Lamezia Terme era riuscito, secondo le indagini che hanno portato all’emissione di 36 provvedimenti di custodia cautelare in carcere e complessivamente ad una cinquantina di indagati, a mettere sotto scacco gran parte della città della piana e dell’hinterland. Estorsioni, usura, danneggiamenti, spaccio di droga, sono solo alcuni dei settori controllati. 

E per fare funzionare tutto alla perfezione, la ‘ndrina si era organizzata a dovere. Intanto con un organigramma interno ben definito, che potesse evitare momenti di tensione nelle decisioni più importanti, e poi legandosi alle persone “giuste”, utili per portare a termine gli affari e per garantirsi anche una sorta di copertura. 

L’ORGANIGRAMMA. Un capo cosca, Francesco Giampà, alias “U professori”, e cinque componenti per una commissione di coordinamento. La ‘ndrangheta di Lamezia Terme si è adeguata ai tempi, creando un apposito organismo di raccordo con l’obiettivo di intervenire su qualunque questione che necessitava di una mediazione o un intervento. E’ quanto è emerso nell’ambito dell’operazione “Medusa”, condotta da polizia, carabinieri e guardia di finanza contro la cosca Giampà di Lamezia Terme, con 36 ordinanza di custodia cautelare in carcere e, complessivamente, una cinquantina di persone coinvolte. 

Della commissione avrebbero fatto parte, secondo le indagini, Aldo Notarianni, Vincenzo Bonaddio, Giuseppe Giampà, Pasquale Giampà e una quinta persona di cui però non è stata resa nota l’identità, tutti colpiti dalla custodia cautelare in carcere.  Il procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, e il procuratore aggiunto, Giuseppe Borrelli, hanno evidenziato che questa sorta di “cupola” aveva il compito di creare «momenti di confronto e direzione strategica». 

I COLLEGAMENTI. Professionisti, esponenti del mondo dei servizi e, bisbigliato, anche qualche rappresentante politico. Il clan dei Giampà non si faceva mancare proprio nulla. “C’è una profonda commistione tra la società dei professionisti e dei servizi e gli ambienti della criminalità organizzata di Lamezia Terme”. Quando Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, ha risposto alle domande dei giornalisti nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro per delineare i dettagli dell’operazione “Medusa”, ha aperto uno scenario inquietante sulla città di Lamezia Terme. 

Secondo il procuratore aggiunto, infatti, nelle varie attività investigative è stata “accertata la partecipazione di soggetti che operano nell’ambito delle professioni in diversi reati gravi, compreso quello dell’uso delle armi e non solo della detenzione”. Un’attività, ha tenuto a precisare il magistrato, che è stata “devoluta ad una fase successiva che possa fare chiarezza sui rapporti tra la cosca Giampà, colpita con l’operazione di oggi, e la cosiddetta ‘zona grigia’, prima dovevamo acquisire i risultati della ‘zona nera’”. 

 

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