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Per ogni bambino da 0 a 5 anni un sindaco calabrese può investire, mediamente, circa 126,8 euro per garantire i servizi per l’infanzia. In Liguria, la spesa pro capite dei Comuni per ogni bimbo della stessa età è, invece, di 1.377,9 euro, ben undici volte superiore. Se nasci al Nord, asili, assistenza, welfare, cure non ti mancheranno. Se vieni alla luce nel Mezzogiorno, beh, la strada potrebbe essere in salita se non hai la fortuna di nascere in una famiglia abbiente che non ti faccia mancare nulla.

Sì perché lo Stato non ti garantirà lo stesso livello di servizi, né qualitativamente né dal punto di vista della quantità. È ancora la Corte dei Conti, nella “Memoria sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale” a ricordare che viviamo in un Paese spaccato, che viaggia a velocità diverse, per via di politiche di distribuzione delle risorse statali inique, che gridano vendetta. I giudici contabili, prendendo in considerazione l’anno 2019, analizzano la spesa pro capite dei Comuni, Enti che vivono soprattutto dei trasferimenti che arrivano da Roma.

«I divari territoriali – evidenziano i magistrati – come pure quelli dimensionali sono evidenti in tutte le politiche settoriali ed in alcuni casi particolarmente significativi». Il risultato finale è che per «i servizi per l’infanzia e quelli per gli anziani, la spesa pro capite calcolata sulla fascia di popolazione che rappresenta gli utenti potenziali, risulta, a livello nazionale, pari a 848 euro per i primi e 75,5 euro per gli altri. Nel caso dei servizi all’infanzia, si pongono ben sopra la media i comuni di Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia e Toscana, mentre i valori più bassi si registrano in Calabria e Campania. La spesa per anziani, invece, presenta una forbice che va dai 27 euro della Calabria ai 110 della Lombardia; si pongono sopra il dato medio nazionale i comuni di sette regioni».

Ad un bambino che nasce in Campania verrà garantita una spesa di appena 257,7 euro, nulla a che vedere rispetto ai 1.286,8 per un bimbo residente in Emilia Romagna, o ai 1.161,8 euro che può assicurare un sindaco toscano e i 1.053 “riservati” ad ogni bambino lombardo tra 0 e 5 anni. Meno fondi da destinare ai servizi per l’infanzia si traduce in meno asili, meno scuole, meno servizi in generale.

Crescendo e invecchiando, le condizioni non cambieranno: infatti, mentre i Comuni lombardi possono spendere 110 euro pro capite per l’assistenza dei propri anziani, quelli della Liguria 98,8 euro e in Emilia Romagna 92,7 euro; in Calabria per ogni over 65enne sono destinati 27 euro, in Campania 32 euro in Puglia 36,4 euro.

Sono gli effetti del federalismo fiscale introdotta 11 anni fa dalla legge Calderoli: da un lato la mancata applicazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione ma del tutto ignorati; e dall’altro il calcolo dei fabbisogni standard dei Comuni che altro non fa che ricalcare la vecchia spesa storica, hanno messo in ginocchio le Regioni e i Comuni del Mezzogiorno. Uno scippo continuo di risorse, in tutti i settori, che ha finito per acuire il divario tra Nord e Sud.

Lo conferma anche l’analisi di Openpolis, la fondazione che da anni si occupa di trasparenza e accessibilità dei dati della pubblica amministrazione. Se il sistema del federalismo fiscale fosse stato equo, il Comune che avrebbe guadagnato di più sarebbe stato quello di Giugliano, in Campania, dove oggi mancano all’appello 33 milioni di euro (270 euro pro capite). Reggio Calabria avrebbe dovuto ricevere 41 milioni in più, 229 euro a testa. Seguono Crotone (3 milioni, 206 euro a cittadino), Taranto (39 milioni, 198 euro pro capite). Catanzaro (15 milioni, 168 euro pro capite), Bari (53 milioni, 166 euro pro capite). Ma il Comune che perde di più in termini assoluti è Napoli (159 milioni, 164 euro pro capite).

Il calcolo dei fabbisogni standard è il vero problema. La Regione Puglia, nel 2016, per garantire agli oltre 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto spendere 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno finanziario – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più: è quanto emerge consultando il database di OpenCivitas, il portale di accesso alle informazioni degli enti locali, un’iniziativa di trasparenza promossa dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Il progetto nasce con la legge 5 maggio del 2009, la numero 42, in materia di federalismo fiscale che ha segnato l’avvio di un processo di riforma che prevede la determinazione dei fabbisogni standard per gli enti locali italiani. Il portale, raggiungibile dal sito del Mef, permette di confrontare due o più enti (Comuni, Province o Regioni) per effettuare un benchmarking rispetto ai livelli di spesa sostenuta e ai servizi erogati per le funzioni analizzate. I servizi che possono essere paragonati sono sei: costo della macchina amministrativa, spesa per la polizia locale, l’istruzione, la viabilità, la gestione dei rifiuti e per gli asili nido. Confrontando la spesa storica (l’ammontare effettivamente investito dalla singola Regione o da un Comune in un anno per l’offerta dei servizi ai cittadini) con la spesa standard (il reale fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali, agli aspetti socio-demografici della popolazione residente e ai servizi offerti) emerge che il Nord spende più del suo reale fabbisogno, potendo contare su maggiori trasferimenti statali; mentre il Sud deve rimboccarsi le maniche e far quadrare i conti.

Ecco qualche esempio: le Regioni del Mezzogiorno, nel 2016, per tutti i servizi elencati hanno sopportato un costo complessivo di 7,90 miliardi (spesa storica), ma avrebbero avuto bisogno, secondo i calcoli di OpenCivitas, di almeno 8,18 miliardi (spesa standard), uno scarto negativo del 3,43%. Le Regioni del Nord, al contrario, hanno investito complessivamente 16,42 miliardi, nonostante il fabbisogno reale fosse di 15,23 miliardi. Hanno speso di più avendo ricevuto più soldi da Roma. Se prendiamo in considerazione solamente il capitolo “istruzione”, le Regioni del Sud registrano uno scarto negativo tra spesa storica e spesa standard del 30,89%. Diversamente, il Nord ha potuto investire il 9% in più rispetto al reale fabbisogno.


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