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In questo periodo il verde è il colore dell’utopia. Milioni di italiani vedono come oggetto di aspirazione la cartina del bel paese pigmentata di verde, il che significherebbe l’Rt (indice di contagio) inferiore a 1 con il conseguente libera tutti. Ad oggi sono solo verdi di rabbia a causa dei continui e imprevedibili dpcm, simili a puntate delle telenovelas. E perché mai il nostro volto dovrebbe assomigliare a quello di Hulk?
L’invidia o la rabbia smisurata provocherebbe un eccesso di bile, liquido secreto dal fegato, che appunto rientra nel ventaglio cromatico del verde. I più inviperiti sono di certo i proprietari delle attività commerciali, in particolare i ristoratori, costretti a chiudere a causa delle rigide restrizioni. In attesa dei bonus ristori, sono al verde: la locuzione figurativa utilizzata per evidenziare il prosciugamento delle finanze deriverebbe con molta probabilità dal consumo finale della candela, la cui estremità assumerebbe la tonalità del verde.
Se ci spostiamo sul versante storico ed etnografico, un popolo sopra tutti ha a cuore il verde ed è quello irlandese. Fu San Patrizio che, per spiegare al meglio il concetto di Trinità ai fedeli, si servì di un trifoglio, così questa pianta dal colore verde assunse un ruolo centrale nell’identità cattolica irlandese. La bandiera con la stessa cromaticità fu più volte accompagnata dal disegno di un’arpa dorata, tipico strumento musicale suonato dagli irlandesi, e divenne il simbolo più rappresentativo del movimento Irish Home Rule, che combatteva al fine di ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
In più, come provocazione alla visita del principe di Galles in Irlanda nel 1885, venne issata una bandiera verde per affermare in maniera più accentuata il netto dissapore con il popolo inglese. Se qualcuno non si fosse accorto del disguido squisitamente cromatico, il verde sarebbe diventato il simbolo di una delle rivoluzioni più sconvolgenti della storia europea. Nel volume intitolato Atlante sentimentale dei colori.
Da amaranto a zafferano 75 storie (Utet) di Kassia St Clair, si legge che “In quello stesso periodo il verde veniva strettamente legato alla rivoluzione: fin da quando, il 12 luglio del 1789, un giovane avvocato di nome Camille Desmoulins afferrò una foglia di tiglio nel mezzo di un’arringa alla folla parigina, se la infilò nel cappello e invitò i suoi compagni patrioti a far lo stesso. Nel giro di poco tempo la foglia di tiglio venne rimpiazzata da una coccarda verde: sarebbe potuta diventare il simbolo della Rivoluzione francese se non solo ci si fosse ricordati all’ultimo minuto che era lo stesso colore della livrea dell’odiatissimo conte d’Artois, fratello minore di Luigi XVI.
Arrivati al 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia, la coccarda verde venne eclissata dal tricolore bianco, rosso e blu”. Anche nell’Italia della Prima e della Seconda Repubblica si ebbero due parentesi verdi nel linguaggio politico e giornalistico. La Lega Nord riempì la propria iconografia di questo colore, dai fazzoletti alle camicie. Nel movimento del Carroccio, dal febbraio del 1997, dominò il sole delle Alpi in verde su sfondo bianco.
Nel 1986 si formò un partito, La Federazione dei Verdi, nota come i Verdi, che con l’immagine di un sole ridente su sfondo verde all’interno del simbolo politico, promuoveva la difesa ecologica dell’ambiente, dell’equilibrio naturale e la lotta contro l’inquinamento industriale. Poi c’è il verde dell’Islam, che oggi tinge le bandiere dei diversi Stati arabi e dei gruppi terroristici della jihad. Verde è il turbante del Profeta Maometto, anche se le testimonianze sono discordanti, visto che vestiva anche di bianco. Verde è il Paradiso Terrestre dell’Islam, simbolo di buon auspicio, di fertilità, di natura benefica. Nel Corano c’è scritto che gli abitanti di quel mondo “avranno vesti verdi di seta fine e broccato”, gli shuhada, coloro i quali sacrificano se stessi per affermare l’Islam, hanno un posto di privilegio nell’aldilà, l’hadith è un racconto che parla del luogo riservato ai martiri: “Allah mette le loro anime nei corpi di uccelli verdi, che vengono a riposarsi ai fiumi dell’Eden e a mangiare dei suoi frutti”.
Nel mondo cristiano il verde non ebbe un posto di particolare rilievo, sgomitò solo quando papa Innocenzo III, figura cardine nel Medioevo, redasse un trattato sull’uso dei paramenti sacri, e decise che il verde fu un colore che mediava fra il rosso, il bianco e il nero: venne utilizzato in sostituzione di uno dei tre colori. Gli egizi invece consacrarono il verde al regno splendente di Osiride: il dio egizio incarnava la vegetazione, lo spirito del grano, rappresentava la rinascita.
L’iconografia pervenutaci nelle vignette del Libro dei morti, antico testo funerario, lo riproduce quasi esclusivamente con il volto dipinto di verde. Durante il Basso Medioevo l’esoterismo si concentrò nell’opera intitolata La Tavola di Smeraldo attribuita alla figura leggendaria di Ermete Trismegisto, contenente i principi fondamentali delle scienze occulte e della cabala. Nella simbologia misterica il colore dello smeraldo diffondeva una forza rigeneratrice.
In pittura bisognava attendere l’Ottocento, prima con Paul Cezanne attraverso il celebre quadro Pommes vertes (1873 ca.), poi con il maestro della secessione viennese, Gustav Klimt, al fine di contemplare l’uso singolare del verde, che si ottiene mescolando giallo e blu, e grazie alla sapienza del pittore è insieme elemento algido e moltiplicatore di calore. L’applicazione instabile e ipnoticamente cangiante delle tinte conferisce al paesaggio un flusso continuo di sfumature, come ne Il parco (1910), La chiesa del Cassone (1913), e in Unterach sul lago Attersee (1915). Il verde è anche il colore attraverso il quale si manifestano gli slogan della sostenibilità ambientale, Greta Thunberg ne sa qualcosa.
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