Mateusz Morawiecki, presidente polacco, e Viktor Orban, presidente ungherese
4 minuti per la letturaCome si risolverà la disputa sul veto di Polonia e Ungheria al nuovo bilancio europeo e al Recovery Fund? L’Unione europea risponderà a questi governi semi-autoritari allo stesso modo con cui cede ai ricatti di Erdogan sui profughi che il Sultano della Nato si tiene in casa: semplicemente elargendo più soldi.
Con il Recovery Fund agli Stati membri, saranno distribuiti 750 miliardi di euro, di cui 390 trasferiti in sovvenzioni e 360 in prestiti. Sbloccare la sua approvazione è fondamentale per tutti in un’Unione europea che si sta trovando in un’impasse senza precedenti per la sua storia.
Ecco perché polacchi e ungheresi non si possono sbattere fuori dall’Unione, come già in diversi hanno suggerito anche a Bruxelles. Come noto il capo di governo polacco Mateusz Morawiecki e quello ungherese Viktor Orban hanno confermato il veto con cui stanno tenendo in ostaggio il pacchetto economico pensato per fronteggiare la crisi causata dal coronavirus. Dall’altro lato la maggioranza degli Stati membri è decisa a non scendere a compromessi sulla clausola che lega l’erogazione dei fondi al rispetto delle regole fondamentali della democrazia (le cosiddette clausole sullo Stato di diritto).
Da tempo entrambi i Paesi sono guidati da governi che vìolano sistematicamente i valori contenuti nei trattati europei: non rispettano i diritti delle minoranze etniche e degli oppositori politici, riempiono i tribunali di giudici fedeli più che competenti, restringono la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza, esercitano un controllo oppressivo sui media e indirizzano fondi pubblici – anche quelli europei – verso un ristretto circolo di sostenitori. In molti si chiedono perché l’Unione Europea non prenda dei provvedimenti drastici nei loro confronti: per esempio la sospensione o persino l’espulsione dall’Ue, come del resto aveva suggerito esplicitamente l’allora ministro degli Esteri lussemburghese nel 2016, e in maniera più sottile il primo ministro olandese Mark Rutte alcuni mesi fa.
I motivi per cui l’Unione europea non ha mai minacciato né tantomeno preso misure del genere sono due. Il primo è che espellere un paese dall’Unione non è affatto semplice, anzi. Il secondo è che una o più espulsioni avrebbero delle controindicazioni molto evidenti. Del resto erano cose che già si sapevano quando nei primi anni Duemila l’Unione europea si allargò verso Est inglobando una serie di paesi che fino a pochi anni prima avevano fatto parte del blocco sovietico – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Bulgaria – e gli osservatori più prudenti sostenevano che i paesi in questione non fossero ancora pronti a rispettare gli standard europei in fatto di trasparenza degli apparati burocratici, rispetto dei diritti umani, indipendenza di media e tribunali.
Il problema è che i trattati europei non prevedono un meccanismo di espulsione realmente funzionante e anche la stessa sospensione del diritto di voto, la cosiddetta “opzione nucleare”, si è rivelata un’arma spuntata. Per sospendere il diritto di voto ad un certo paese serve il consenso di tutti gli altri, quindi è bastato che Ungheria e Polonia si coalizzassero per disinnescare l’”opzione nucleare”. Inoltre a Bruxelles nessuno vuole arrivare all’espulsione per una considerazione prettamente politica: è facile immaginare che Ungheria e Polonia possano finire nella sfera d’influenza di Russia, Cina o Turchia, ostili al progetto di integrazione europea. Per la verità finora i maggiori sabotatori e manipolatori del progetto europeo sono stati gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ma questo non fa niente: bisogna pur sempre dare una versione ipocrita dei fatti inventandosi una narrativa filo-occidentale.
Di fronte alla decisione europea (che in questo caso non aveva bisogno dell’unanimità) di varare un nuovo meccanismo per legare il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto all’erogazione dei fondi europei Ungheria e Polonia hanno bloccato il nuovo bilancio, sperando forse di convincere gli altri paesi ad annacquarlo o a farsi dare più soldi.
Di soldini dall’Europa Varsavia e Budapest ne ricevono già parecchi. Forse troppi. Fra il 2013 e il 2020 l’Ungheria ha ricevuto dall’Unione europea fondi per 46,5 miliardi di euro, un terzo del suo Pil annuale: non male. La Polonia, il paese che più di tutti beneficia di fondi europei per via della povertà diffusa e dell’arretratezza dell’industria locale, nello stesso periodo ha ottenuto 207 miliardi di euro. Non solo. L’Ungheria è il primo Paese a ricevere i maggiori aiuti europei pro capite anche nel pacchetto di sostegno anti-coronavirus varato da Bruxelles. L’Italia, Paese donatore nel bilancio Ue, e Spagna sono al 15mo e 16mo posto. E questo nonostante che Orbán continui ad affermare che l’Europa e i media “conducano una caccia alle streghe contro l´Ungheria”. E con gente come questa che cederemo a un nuovo ricatto. Figuriamoci come ride Erdogan.
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