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Qualcuno, qualche anno fa, voleva abolire il Mezzogiorno. Ma forse è venuto il momento di abolire le Regioni a statuto speciale, quelle ordinarie e le province autonome regionali. Quando sentiamo parlare da Zaia dei veneti, o da Fontana dei lombardi o da Toti dei liguri ci rendiamo conto che siamo ad un passo dalla dichiarazione di secessione delle regioni ricche del Paese, che non capiscono perché, in una visione di statarello autonomo, devono contribuire al mantenimento di alcune regioni più svantaggiate e quindi più povere. E viene fuori il concetto di residuo fiscale, che ha come riferimento non più l’individuo, per cui chiunque, in qualunque parte del Paese, paga in funzione del suo reddito e lo Stato con tali risorse garantisce diritti di cittadinanza uguali per tutti i suoi cittadini, ma il concetto di realtà regionale che produce e consuma le proprie risorse.

In tale logica visto che i metanodotti, uno che arriva a Mazara del Vallo e l’altro a Gela, attraversano il Mezzogiorno per dare gas anche al Nord, a qualcuno potrebbe venire in mente di chiedere un diritto di passaggio, come anche per la Tap, che certo non serve alla sola Puglia. 

Insomma se ti poni come Stato autonomo devi pretendere i vantaggi ma pagarne anche i costi. Così come le Regioni dovrebbero poter pretendere dai propri cittadini formati, che si spostano in altre parti del Paese, di aver rimborsato il costo della formazione, come faceva l’Unione Sovietica nei confronti degli ebrei che volevano emigrare in Israele.  Cioè ritorniamo all’Italia dei Campanili e delle Signorie, rendiamo vana l’unificazione, che alcuni al Sud cominciano, sbagliando, a chiamare occupazione. 

In una fase in cui la Germania ha fatto uno sforzo immane per unificarsi, mettendo le mani nelle tasche dei cittadine dell’Ovest, in cui la Spagna mostra i muscoli per impedire che la Catalogna vada per la sua strada, ma anche in cui la Cecoslovacchia si divide in due Stati, e la ex Jugoslavia si parcellizza, noi scegliamo la seconda strada quella di avere 20 staterelli, alcuni come la Val d’Aosta, il Molise o la Basilicata con una popolazione minima. Anche questa può essere una scelta.  Ma penso invece che bisogna ritornare ad un Paese unico, che elimini le differenze economiche, che in realtà lo rendono duale. Il processo deve essere quello di unificarlo anche economicamente, perché come diceva Mazzini “l’Italia sarà quello che il Mezzogiorno sarà”.

Per una operazione di tal genere è necessaria una guida unica e risorse importanti, in parte dall’Europa ed in parte dal Paese. E per tale approccio la presenza delle Regioni, di 20 caicchi pronti ad innalzare la loro bandiera veneta, lombarda o campana, non solo non è utile, ma anzi è devastante e dirompente, come si è visto nella sanità.

Quindi altro che lavorare, come sta facendo il Ministro Boccia a velocizzare il processo, promettendo 4 miliardi e mezzo, (dico 4,5 miliardi, bruscolini con i quali al massimo si possono fare 30 chilometri di alta velocità ferroviaria) per la perequazione infrastrutturale, in cambio della possibilità in sintesi di tenersi le risorse che le Regioni ricche producono, per non scontentare gli emiliani romagnoli di Bonaccini e i lombardi di Sala, Gori e Martina o i piemontesi di Fassino, ed inseguire la Lega di Salvini sul suo terreno di autonomia, prima responsabile, ma in combutta con il Pd, della modifica del Titolo V.

Francesco Boccia, il Governo e le forze della maggioranza hanno impresso un’accelerazione all’approvazione della legge quadro sull’autonomia differenziata, presentandola come allegato alla legge di stabilità.

Ma tornando al processo dell’abolizione delle Regioni bisogna avere chiaro che è complesso e potrebbe portare a difficoltà notevoli, ma che è indispensabile perché siamo ormai in una china, che ha come effetto finale la frammentazione del Paese, forse in aree più omogenee, ma che gli farebbe ulteriormente perdere quel ruolo che bene o male, continua ad avere, come uno dei Paesi fondatori dell’Europa.

Ovviamente a quel punto i lombardi si possono sognare di avere il monopolio delle agenzie europee in Italia, ed anche i veneti di poter ospitare le Olimpiadi invernali e le nuove realtà che si formerebbero di essere invitati al G8.

Il Covid ha messo in evidenza tutti i limiti di una organizzazione regionale ma anche quelli di uno Stato centrale in mano a partitini, che individuano commissari buoni per gestire una bocciofila più che una sanità calabra, nella quale la Ndrangheta pascola allegramente. Quindi abolire le Regioni ma anche semplificare il sistema elettorale in senso maggioritario. Ed invece la tendenza è quella di andare verso un proporzionale sempre più accentuato, nel quale il potere di veto di piccole aggregazione, con una soglia di sbarramento molto bassa, ci regalerà una instabilità che tanta colpa ha avuto nell’esplosione del debito pubblico del nostro Paese, ma anche nel perdurare dei divari.  Tale riforma è dovuta per non assistere impunemente più agli sprechi della regione Sicilia o ai balletti della Sardegna per le discoteche o alle dichiarazioni improvvide di Toti sugli anziani o alle sbruffonate di Fontana sulle mascherine.


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