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Il premier Giuseppe Conte

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Nessuno, alla prova dei fatti, è in grado di gestire lo strapotere delle Regioni che fanno il bello e il cattivo tempo con i soldi degli altri che sono i nostri. Presidente Conte, se non riesce a spegnere il cerino della Calabria l’incendio divampa in casa sua. Non le servirà avere preso su di sé, cosa che le fa onore, le responsabilità imperdonabili di Speranza e di Arcuri che avrebbero dovuto invece fare almeno il gesto di consegnare nelle sue mani le loro dimissioni.
Perché ogni giorno che passa la situazione rischia sempre di più di implodere e qualcuno dei galantuomini che fa parte della sua compagine di governo farà scoppiare la rivolta interna

Siamo arrivati al punto finale. Che è quello del sistema anarchico. Ognuno va per conto suo, fa pasticci di ogni tipo, e se la prende con qualcun altro. La farsa che fa più male della tragedia si raggiunge in un copione sanitario già scritto nel caso della Calabria. Qui si nominano commissari con le stellette che moltiplicano i buchi delle ruberie massoniche e criminali che dovevano mettere sotto controllo. Qui fanno la passerella pensionati trombati alle politiche che “sostituiscono” le mascherine con quindici minuti di bacio in bocca e vengono coperti di ridicolo. Qui si portano alla ribalta consorti di ex rettori che disquisiscono di geografia e di residenze familiari e riducono a poltiglia le istituzioni dello Stato perché si capisce che la nomina del Consiglio dei ministri è carta straccia in quanto il marito non ha avuto il permesso della moglie.

Si alimenta così una macchia di colore che dilaga in ogni dove sfiorando il razzismo e copre ad arte gli errori non archiviabili e le colpe imperdonabili del ministro della Salute, Roberto Speranza, e del commissario per l’emergenza sanitaria, Domenico Arcuri. Siamo vicini a qualcosa che assomiglia molto al “sozzo bubbone di un livido paonazzo” della peste di Don Rodrigo che non è la causa della peste ma la manifestazione più evidente del fatto che non c’è nessuno più al timone del sistema Paese con la solita commedia all’italiana di contorno. Questa, per quanto amara, è la realtà.

Per la gravità del momento che viviamo non ci resta che esortare, come facciamo da dieci giorni in qua, il Presidente del Consiglio Conte a occuparsi a tempo pieno esclusivamente del caso Calabria che non è solo la questione nazionale di oggi ma ancora prima l’incidente che può chiudere la sua esperienza di governo. Nella terra dove i trasferimenti della spesa pubblica sanitaria sono la vergogna civile di una nazione e la tomba morale di tutti i maitre a penser del politicamente corretto che dispensano ovunque sorrisini intrisi di egoismi per nulla scalfiti dalla Pandemia, si sta consumando il cortocircuito del Sistema Italia. Con i Capetti delle Regioni che guidati da Fedriga “ordinano” allo Stato di fare decidere a loro le chiusure, non all’algoritmo, e lo sceriffo De Luca che in piena Pandemia si preoccupa di finanziare la fondazione del suo fedelissimo che lo sostituisce perfino negli incontri istituzionali con i soldi della Regione Campania sfidando ogni decenza e ogni conflitto di interessi.
Siamo proprio alle pratiche del Basso Impero o alle bassezze bubboniche della Peste di Don Rodrigo che ci rivela da par suo in esclusiva Simone Di Meo. Scegliete voi: non fa differenza. La sostanza è il disfacimento delle istituzioni che è impermeabile perfino alla grande crisi.

Dentro questo disfacimento c’è il ministro degli Esteri grillino Di Maio che attacca il segretario del Pd Zingaretti facendosi scudo delle parole del presidente del Parlamento europeo Sassoli che è della stessa famiglia politica di Zingaretti. C’è il sindacato a ranghi compatti che arriva a proclamare una giornata di sciopero per i mancati aumenti agli impiegati pubblici mentre molti di quelli privati sanno di avere perso il lavoro e non ricevono ancora la cassa integrazione. Tutto questo avviene mentre il ministero dell’Economia sotto la guida di Gualtieri ha perso credibilità e arranca e la ministra De Micheli fa guai pazzeschi e vede le sue proposte addirittura bocciate dallo stesso ministero dell’Economia che arranca, ma dove c’è ancora qualche funzionario che sa che cosa sono lo Stato e la sua contabilità. Nessuno, alla prova dei fatti, è in grado di gestire lo strapotere delle Regioni che fanno il bello e il cattivo tempo con i soldi degli altri che sono i nostri e restano la causa prima del declino competitivo italiano e dell’aumento abnorme delle diseguaglianze al suo interno.

Presidente Conte, se non riesce a spegnere il cerino della Calabria l’incendio divampa in casa sua. Non le servirà avere preso su di sé, cosa che le fa onore, le responsabilità imperdonabili di Speranza e di Arcuri che avrebbero dovuto invece fare almeno il gesto di consegnare nelle sue mani le loro dimissioni. Perché ogni giorno che passa la situazione rischia sempre di più di implodere e qualcuno dei galantuomini che fa parte della sua compagine di governo farà scoppiare la rivolta interna. A quel punto, il sistema già provatissimo non tiene più. Mattarella potrà gestire ma non fermare il cortocircuito.


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