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Altre otto ore di deposizione oggi per Giuseppina Pesce, la pentita di ‘ndrangheta testimone d’accusa contro l’omonima cosca di Rosarno che viene interrogata nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia.   La pentita, descrivendo dettagliatamente l’organigramma della cosca, ha fatto riferimento, in particolare, al ruolo delle donne. Lei stessa, la madre, Angela Ferraro, e la sorella, Marina, si recavano di frequente in carcere e ricevevano dai capi della cosca le direttive da portare agli affiliati liberi in merito, in particolare, all’organizzazione delle estorsioni e degli appalti. «In tal modo – ha detto Giuseppina Pesce – io e le altre donne abbiamo garantito la sopravvivenza della cosca mantenendo la continuità dei proventi anche in assenza degli uomini. Oltre a questo, io e le altre donne avevano il compito di raccogliere i soldi delle estorsioni e di portarli in carcere a mio fratello Francesco».   La pentita ha confermato gli interessi della cosca nel settore del calcio, ribadendo che i Pesce erano i proprietari della Rosarnese. La cosca, inoltre, gestiva, di fatto, la radio privata del paese, Radio Olimpia, che veniva anche utilizzata per trasmettere i messaggi interni del gruppo criminale. «Alla radio – ha detto la pentita – chiamavano, sotto falso nome, anche i latitanti, che mandavano messaggi cifrati agli altri affiliati ed ai detenuti che ascoltavano l’emittente in carcere».   Giuseppina Pesce ha confermato, inoltre, che il capo della cosca continua ad essere, malgrado sia detenuto da molti anni per scontare una condanna all’ergastolo, lo zio, Antonino Pesce, fratello del padre. Ha fatto anche riferimento al fratello Francesco, che svolge, secondo la pentita, un ruolo importante nel riciclaggio dei proventi della cosca, investendoli in attività commerciali lecite intestate a prestanome.   L’ultimo riferimento la pentita l’ha fatto al traffico della droga, l’affare più importante gestito dal gruppo criminale. Ha ha parlato di traffici di tonnellate di cocaina ed eroina di cui la cosca si riforniva da Milano grazie ad accordi con le cosche di San Luca e con affiliati a Cosa nostra di Catania.   Tutte le partite di droga gestite dalla cosca, secondo la pentita, «passano» dal porto di Gioia Tauro, che in questo senso, dunque, a suo dire, rappresenta un centro di smistamento  fondamentale. 

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