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LA cosca Pesce della ‘ndrangheta aveva rapporti con il giudice della Corte di cassazione Corrado Carnevale, al quale si rivolgeva per ottenere scarcerazioni dei propri affiliati. Lo ha rivelato la pentita Giuseppina Pesce nella deposizione fatta nel corso dell’udienza del processo “All Inside”, che proprio grazie alle dichiarazioni della donna ha portato alla sbarra la cosca che fa riferimento alla sua famiglia. L’udienza, la seconda che vede protagonista Giuseppina, si è svolta nell’aula del carcere di Rebibbia. «I contatti con Carnevale – ha detto la pentita – avvenivano tramite mio suocero, Gaetano Palaia, che era suo amico».
Palaia secondo quanto ha riferito Giuseppina Pesce rispondendo alle domande del Pm, Alessandra Cerreti, si sarebbe mantenuto in rapporti con Carnevale fino al 2005. «Dopo che Carnevale lasciò il suo incarico – ha detto la pentita – mio suocero rifiutò qualsiasi altra richiesta di intervento sostenendo che non poteva fare più niente perchè non aveva i contatti di prima con la Cassazione e questo rendeva impossibile qualsiasi tentativo ulteriore di intercessione».
La pentita ha parlato anche dei contatti che la cosca Pesce avrebbe avuto con un funzionario del Dap per ottenere il trasferimento del padre, Salvatore, da un carcere del nord in Calabria. «Mi risulta – ha detto la pentita – che ci sono stati due diversi interessamenti col funzionario del Dap attraverso un avvocato di Milano ed un altro avvocato di Palmi, ma poi il trasferimento non è avvenuto».
Il giodice Carnevale è stato al centro di uno degli scandali più controversi della magistratura italiana: nel 1993 per un’indagine della procura di Palermo venne sospeso e in seguito si aprì un processo a suo carico che portò nel 2001 a una condanna da parte della Corte d’appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, che gli inflisse 6 anni di carcere dopo che in primo grado era stata pronunciata una sentenza di assoluzione. Erano gli anni in cui Carnevale veniva definito “l’ammazzasentenze”: era stato il pentito Gaspare Mutolo a dichiarare che Carnevale era “avvicinabile”. Dopo di lui altri 11 pentiti hanno fatto il nome del magistrato.
Nel 2002, però, la Cassazione lo ha assolto con formula piena perché “il fatto non sussiste”, constatando prove insufficienti a sostenere tali accuse e respingendo anche le deposizioni dei colleghi di Carnevale, magistrati di cassazione, che denunciavano le sue pressioni per influire sui processi: secondo i giudici le loro dichiarazioni erano inutilizzabili in giudizio. Ora il nome di Carnevale torna in ballo. Ma stavolta su un fronte calabrese. Pronta la replica di Corrado Carnevale alle dichiarazioni di Giuseppina Pesce. «Non ho mai conosciuto nessun clan Pesce – ha detto Carnevale – nè alcuna persona che vi appartenga, nè tantomeno il signor Gaetano Palaia, e non mi occupo del settore penale della giustizia dal 1992, quando chiesi di essere trasferito al ramo civile. Nel 1999, poi, sono andato in pensione e sono stato riammesso in servizio solo nel giugno del 2007 con la legge speciale che porta il mio nome. Sono assolutamente tranquillo. Questo accuse non mi spaventano. Sono solo stupito che ancora si parli di me e che ci siano degli interrogatori nei quali qualcuno si interessa alla mia persona sollecitando fantasie».
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