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CROTONE – L’hanno avvicinato in due circostanze, nel 2011, esponenti della cosca De Stefano di Reggio Calabria, per proporgli di fare il «finto pentito», nonostante si trovasse nella località cosiddetta protetta, a Termoli. Almeno questo è il racconto del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, che nella città molisana da oggi intende mostrarsi «in piazza». «Porterò i miei figli a scuola, e magari qualche volta anche al cinema», dice, forse, con un atteggiamento provocatorio nei confronti delle istituzioni dalle quali non si sente più tutelato. Stando alle sue denunce, quella località segreta non lo era nemmeno per alcuni settori della criminalità organizzata del Crotonese che forse volevano tendergli un agguato. Bonaventura, che ha precisato di non aver mai avuto contatti con i collaboratori di giustizia crotonesi che stanno deponendo nei vari processi, ha, infatti, già rivelato di essere stato «avvicinato» dall’ex pentito Felice Ferrazzo, già capo della cosca di Mesoraca, in carcere dal luglio scorso per un arsenale, scoperto in un garage a Termoli. «A cento metri da casa mia», precisa Bonaventura, che ora aggiunge nuovi particolari, «tutti già a verbale». Secondo Bonaventura quelle armi sarebbero servite per eliminarlo. «Vai avanti così, che la “mamma” ti vuole bene» è la frase che gli avrebbe detto, invece, un uomo avvicinatosi a lui nell’aprile scorso, mentre era sotto tutela. La “mamma” sarebbe la ‘ndrangheta reggina, gerarchicamente superiore alle varie ‘ndrine. «Mi disse anche – aggiunge – che i responsabili avrebbero pagato e si presentò a nome di un mio zio che sta a Roma ed è vicino ad ambienti della Magliana e dell’estrema destra. La nostra, del resto, era una famiglia destefaniana». Erano due uomini e una donna. Successivamente, nell’estate scorsa, un analogo incontro con un’altra coppia. L’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano parla di «messaggi chiari». Secondo lui il riferimento era alle armi per cui Ferrazzo fu arrestato. Ecco, dunque, chi avrebbe “pagato”.
Bonaventura è un fiume in piena. «Io i De Stefano li conosco. Andai in quella zona. Partecipai a summit di mafia a Reggio e Isola nei quali c’erano anche uomini di Cosa nostra. Si progettava l’evasione di uno dei più stretti collaboratori di Nitto Santapaola che in quegli anni era detenuto nel carcere di Crotone». E ancora: «Dovevo accettare le loro proposte, magari prendere anche dei soldi?». L’interrogativo è inquietante ma, stando sempre alla denuncia del collaboratore di giustizia, nei pressi di casa sua «fanno capannelli» uomini dei clan. Lì «orbitava» anche il pentito Francesco Amodio che, a dire di Bonaventura, avrebbe tentato di tendergli una trappola, di «abbordarlo» per conto di Ferrazzo. «Come faceva a sapere che ero andato a farmi un tatuaggio se ne avevo parlato soltanto con gli agenti del Nucleo di protezione?». Ma Termoli cos’è diventata? «Nelle stesse case vengono trasferiti vari collaboratori di giustizia. Lo sanno tutti, ma i giornali molisani non ne parlano. Ci guarda male la gente del posto. Poco prima che arrivassi io un parente di un pentito era stato coinvolto in un giro di sfruttamento della prostituzione». Impossibile, la vita da pentito. L’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano è «superblindato» durante i trasferimenti per i vari impegni giudiziari ma va in giro con i suoi documenti. «Ogni giorno può essere fatale per me», dice al telefono con la voce roca. Vuole fare sapere a tutti che continuerà a collaborare con lo Stato ma nel programma di protezione non si sente più al sicuro. «Meglio uscirne. Ancora niente scorta. E se mi succede qualcosa qualcuno dovrà risarcire la mia famiglia». Però qualcuno vicino ce l’ha, nonostante tutto. «Quando si è scoperto che è una Bonaventura, la scuola non ha mandato più in gita la classe di mia figlia. Ma i genitori faranno una colletta e un’altra gita la organizzeranno comunque. Chi ha avuto modo di conoscerci ci vuole bene».
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