Il premier Giuseppe Conte in mezzo a Salvini e a Di Maio ai tempi del Governo Conte 1
6 minuti per la letturaQuesta classe politica non sopravvive alla pandemia globale. Non sopravvivono né questa maggioranza né questa opposizione. Il ‘92 a confronto con il 2020 impallidisce. Oggi siamo di fronte a qualcosa di molto più profondo e strutturale che ha cambiato la testa delle persone e fa saltare pezzi interi della nostra economia
QUESTA classe politica non sopravvive alla Pandemia globale e al nuovo ‘29 mondiale dell’economia. Non sopravvivono né questa maggioranza né questa opposizione. Il ‘92 al confronto con il 2020 impallidisce. Il rischio di bancarotta del Paese e la fine della Prima Repubblica con gli uomini dei partiti che non potevano camminare per strada, portò nel ’92 alla sparizione dei partiti della democrazia italiana repubblicana, DC-PSI-PCI, partorì l’esperimento dei cosiddetti governi tecnici e condusse alla nascita della cosiddetta Seconda Repubblica.
Oggi nel 2020 siamo di fronte a qualcosa di molto più profondo e strutturale che ha cambiato la testa delle persone, fa saltare pezzi interi della nostra economia e mette a rischio dalle fondamenta la coesione residua della nazione. Facciamo i conti con un Paese tecnicamente fallito e dipendente al 100% dall’ossigeno finanziario della Bce e con una classe politica molto più inadeguata della classe politica di allora. Questa situazione produrrà di sicuro cambiamenti molto più drastici di quelli determinati dalle cosiddette Seconda e Terza Repubblica. I Capi della opposizione sovranista italiana, Salvini e la Meloni, non hanno capito niente della intensità sociale e civile della crisi, altrimenti bandirebbero le polemichette quotidiane e collaborerebbero. Saranno spazzati via, insieme a una classe politica di governo destinata a fallire perché smaccatamente inadeguata, dalle onde di piena di una povertà che non abbiamo mai conosciuto e dalla rabbia cumulata di ceto medio, operaio e invisibile. Che non sono figli della Pandemia e del nuovo ’29, ma di una specifica crisi del sistema Italia.
Siamo allo sfaldamento del sistema dei venti staterelli e dei mille egoismi e, sotto queste macerie, ci finiscono tutti come successe con Tangentopoli. I virologi sono i nuovi giudici di mani pulite e sono destinati a rimanere per sempre in TV come i loro predecessori in toga. Il Covid ha smascherato il fallimento di questa classe politica. Ha fallito perché promette di cambiare ma non cambia i meccanismi distorti della giustizia penale, civile, amministrativa, contabile. Ha fallito perché promette di cambiare, ma non cambia la macchina pubblica centrale e addirittura ne moltiplica i vizi a livello regionale per cui non si sbloccano gli investimenti pubblici. Ha fallito perché ha perfino rimosso il problema delle diseguaglianze e, al massimo della miopia, ha abolito il Mezzogiorno dalla spesa infrastrutturale di sviluppo e ne ha tagliata brutalmente la spesa sociale. La Quarta Repubblica arriverà di sicuro. Che cosa sarà esattamente? Chi la guiderà? A queste domande non so rispondere. Nei fatti, però, sta nascendo perché questo sistematico litigio dei Capetti delle Regioni tra di loro e insieme o da soli con il governo racconta questa nuova storia italiana.
Il federalismo della irresponsabilità e la crisi dei partiti hanno minato le fondamenta del sistema istituzionale italiano. Si è smarrito il benché minimo brandello di sintonia con il comune sentire di paura del Paese. Mentre loro, i Capetti delle Regioni, litigano su tutto da mattina a sera, i nostri concorrenti esteri che hanno gli stessi nostri problemi pandemici ma hanno leve finanziarie e industriali più consolidate dentro un sistema Paese che esiste, studiano come impossessarsi delle nostre cose e operano concretamente in questa direzione. Stanno distruggendo l’Italia, i Capetti delle Regioni, e nemmeno lo sanno. Sono gli stessi che hanno sfasciato il sistema sanitario un po’. Che hanno sfasciato il sistema burocratico di un altro po’. Che hanno sfasciato il sistema di selezione della classe dirigente anche a livello intermedio di un altro bel po’. Sono quelli che hanno moltiplicato le clientele sul territorio manco non ci bastassero quelle centrali e hanno contribuito a svuotare la macchina burocratica centrale perché loro, a differenza di Roma, l’inefficienza degli uomini la pagano bene. Ad abundantiam tutti quelli che hanno un privilegio piccolo o grande che sia dentro questo sfascio, non vogliono che si tocchi qualcosa perché hanno paura di perdere tutto. Siamo davanti a tanti piccoli profittatori che quando finisce questo caos italiano sono morti. Ovviamente vendono cara la pelle.
Siamo all’atto finale di un processo di deresponsabilizzazione dello Stato e di frantumazione del sistema decisionale che nasce con il regionalismo dell’inizio degli anni Settanta che porta il PCI al governo del Paese senza dirlo favorendo e arricchendo in tutti i modi le sue amministrazioni territoriali, ma che ha il suo battesimo ufficiale nel ’78 con l’assassinio di Moro e di quello che quest’uomo rappresentava per il Paese prima ancora che per la Democrazia Cristiana. Perché il sequestro, la prigionia e l’esecuzione di Moro dimostrano che è possibile l’assalto al sistema. Da allora ogni volta che nascerà una nuova classe dirigente politica che vuole cambiare le cose il grande capitale e i suoi addentellati nella giustizia e nella informazione operano perché si sfasci tutto.
Se si leggono con mente sgombra i diari di Antonio Maccanico che sa di che cosa parla, si capisce che quel sistema di potere non vuole che nasca una forza politica che possa guidare il sistema e si muove perché ciò non accada. Dai piccoli profittatori ai grandi profittatori ognuno difende il suo piccolo o grande sistema, difende il suo feudo, non vuole che nessuno lo tocchi. È successo con De Mita e con Craxi, poi con Berlusconi e Prodi. Perfino, con l’ultimo arrivato che è Renzi. Hanno sfasciato uno a uno tutti quelli che potevano prendere in mano la situazione ancorché diversissimi tra di loro e ognuno portatore di pregi e difetti con pesi molto differenziati. Siamo entrati in un gioco perverso degli specchi funzionale solo a quel sistema di interessi che ha illuso tutti. Anche Berlinguer e la gioiosa macchina da guerra di Occhetto sono caduti nella trappola. Si sono, a un certo punto, convinti che quel sistema di potere avrebbe favorito loro e invece erano usati anche loro da questi grandi gruppi e dai loro alleati. Usati e mollati secondo il solito copione. Il regionalismo deviato italiano è il frutto avvelenato di questa particolarissima stagione. È la storia minore della grande storia di un Paese che ha vinto il terrorismo, ha fatto la buona concertazione, e ha evitato la bancarotta del sistema. È la storia minore dei piccoli uomini di potere che si sentono grandi e non si rendono conto che sono usati.
Poiché non si vuole che nessuno controlli la grande macchina creiamo tante piccole macchine così i Capetti al volante sono contenti e credono di potere fare loro i giochetti mentre il grande gioco del potere che purtroppo non è lavoro sano, benessere, sviluppo ma sistemazione dei propri affari è in altre mani. Siamo riusciti nel capolavoro di perdere tutte le grandi imprese private riducendo una storia di successo a spartizione di interessi. Siamo arrivati alle mance di oggi che si danno male e tardi per fare fronte alla crisi. Quando finiscono i soldi per potere dare le mance questo Paese è in mano alla rivoluzione. Per questo arriverà la Quarta Repubblica.
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