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ALTRO che modello da seguire, altro che esempio virtuoso di contrasto al Covid-19. È vero esattamente il contrario. È scritto nero su bianco in un report di 102 pagine redatto in lingua inglese dall’Ufficio regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). L’Italia s’è fatta cogliere impreparata. Non aveva un piano nazionale anti-pandemico aggiornato. Ha risposto in modo «improvvisato, caotico e creativo». I contrasti tra governo e regioni hanno ritardato i provvedimenti di restrizione e giocato a favore della diffusione del virus alimentando la paura di quanti nel febbraio scorso guardavano al nostro Paese e generando panico nel mondo intero.

Il dossier è firmato da dieci esperti coordinati da Francesco Zambon, coordinatore dell’Ufficio europeo di Venezia. Con impietosa cronologia e senza troppi giri di parole, si ricostruiscono i giorni della prima ondata. Si racconta come la nostra sanità sia collassata già nei primi giorni, quando nei magazzini dei nostri ospedali erano terminate le scorte. Un allarme messo a tacere che se avesse suonato ci avrebbe fatto trovare più pronti in vista della seconda ondata.

Il documento – la cui esistenza è stata svelata dagli inviati di Report, nell’ultima trasmissione in onda lunedì scorso su RaiTre – era scomparso. Era stato regolarmente inviato al Regional office di Copenaghen e visionato da Soumya Swaminatham, l’indiana che guida il gruppo di scienziati del World Hearth organization. Era scomodo. Descriveva un’Italia inguardabile ma era scomparso, fatalmente, da tutti i radar. Non pervenuto. Il documento parte da una premessa. Il ministro della Salute e le Regioni nel 2017, anno della scadenza, non hanno aggiornato (uptaded) un nuovo piano anti-pandemico ma sic simpliciter riconfermato (reconfirmed). Un copia e incolla del vecchio piano risalente addirittura al 2008.

Eppure, una disposizione Ue, nel 2013, alla luce di quanto era accaduto per la diffusione della epidemia aviaria, aveva richiesto l’aggiornamento come requisito essenziale. Non avere piani pandemici vuol dire rimanere senza reagenti e tamponi. Non poter tracciare il contagio, non raccogliere sufficienti informazioni dai territori.

SOLO TEORIE

Mai tenero, anzi durissimo sulla dissennata gestione italiana della pandemia, il dossier sin dalle prime pagine chiarisce che alle enunciazioni del nostro governo e dei nostri governatori regionali quasi mai è seguita una conseguenza. «Un piano – si legge – più teorico che pratico, con pochi investimenti e molte dichiarazioni di intenti. Destinato perciò a non incidere con misure concrete». Dispositivi sanitari carenti, esercitazioni e simulazioni mai fatte. Un quadro in cui è persino difficile distinguere tra le responsabilità del ministero della Salute e le corresponsabilità dei presidenti delle Regioni. Test che variavano da regione a regione, senza un protocollo che chiariva come farli, dove e quando. Con misure di prevenzione scattate in ritardo, quando «le autorità erano già in allerta e sapevano che l’epidemia circolava in Italia».

Più che un documento – verificato rigo per rigo si premette nell’introduzione – suona come un atto d’accusa. Un atto che a quanto pare potrebbe avere sin dai prossimi giorni conseguenze sul piano giudiziario. «Nonostante lo stato di emergenza – si legge ancora nel documento degli esperti Oms, la vita delle persone, dal 31 gennaio – giorno in cui una coppia di cittadini cinesi risultò positiva e fu posta in isolamento in un albergo romano – è andata avanti senza troppe conseguenze. Anzi, la carenza di comunicazioni corrette ha ingenerato la convinzione che si potessero mantenere comportamenti “poco prudenti”. Nel dossier si fa riferimento alle iniziative “Bergamo non si ferma”, “Milano non si ferma”, “Brescia non si ferma”. Tre aree che senza una giusta informazione sarebbero poi state praticamente votate al martirio.

IL MINISTERO DELLA SALUTE IGNORAVA IL NUMERO DEI POSTI LETTO

Dal verbale del Cts del 29 febbraio, ad un mese dunque dalla dichiarazione dello stato di emergenza, viene fuori che il ministero della Salute non sapeva ancora con certezza il numero dei posti letto nelle rispettive regioni. Figuriamoci quello delle terapie intensive. Un piano pandemico aggiornato sarebbe servito a questo. Avrebbe permesso lo stoccaggio dei Dpi per gestire l’emergenza nella prima fase secondo il principio Test race isolate. L’Italia è stato il primo Paese europeo in cui si è diffuso il virus. Ma quando il Covid 19 ha fatto il suo ingresso ufficiale, il nostro sistema sanitario, considerato tra i più validi, è collassato. Un cedimento strutturale. La segretezza dei verbali del Cts e il timore di generare ondate di panico hanno determinato una mancanza di trasparenza.

Dire al mondo che non avevamo mascherine, che mancavano i ventilatori polmonari, che non c’erano reagenti, che molti pazienti risultavano falsi negativi, che le regioni partecipavano alle aste in concorrenza tra loro, avrebbe moltiplicato la paura e affondato l’immagine del Paese. Per non parlare del caos causato dalle ordinanze. Mascherina facoltativa, mascherina obbligatoria, guanti sì, guanti no, con gli addetti dei supermarket – citiamo il documento – costretti «a riusare le mascherine monouso e i guanti per trasmettere un falso senso di sicurezza». La controversia governo-regioni in un momento in cui l’unica risposta possibile doveva venire da un’unica cabina di regia centralizzata è la classica ciliegina sulla torta.

IL DECRETO SEGRETO: PER DUE SETTIMANE ABOLITO “IL FREEDOM INFORMATION ACT”

In questo quadro confuso e sparso, in cui ogni equilibrio era saltato, il Dipartimento di Protezione civile ha assunto il controllo per supportare il presidente del Consiglio ma limitando di fatto le autonomie regionali. Il diverso potere di intervento – leggiamo ancora nel documento – ha generato uno scontro tra potere centrale ed enti locali. Uno scontro riverberato sui social media. Ogni regione ha deciso “indipendentemente quali dati condividere” e quali nascondere. Morti di Covid spacciati per altre patologie di tipo influenzali. Il governo alla fine di marzo ha sospeso perciò il “Freedom of information act”, la possibilità di accedere ai dati della pubblica amministrazione, ripristinandolo solo il 15 aprile. Un atto inedito, passato inosservato o sottaciuto, alla stregua di un Paese in guerra. Un altro buon motivo per spiegare la misteriosa scomparsa del dossier.


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