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Il governo Conte in Senato

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Ogni limite ha la sua pazienza, diceva scherzando Totò. Beh, fino a ieri Zingaretti è stato la pazienza dei limiti del governo. Poi evidentemente ha deciso che non era più il caso ed è intervenuto in maniera decisa: il governo deve mostrarsi all’altezza del dramma che si sta profilando e che sempre più angoscia il paese.
Il messaggio è chiaro, più di quanto non appaia ad un primo sguardo.

Non si tratta infatti della solita querelle pseudo-ideologica sul MES e questioni più o meno collegate, si tratta della richiesta di intervenire in modo evidente mostrando al paese che si sta affrontando la situazione, oltre le scontate peripezie di chiusure e limitazioni che appaiono occasionali, emergenziali e selettive a casaccio.

La scelta di Conte di scaricare sulle regioni e sui sindaci la responsabilità di programmare quel genere di interventi che si suppongono poco popolari non sta risultando indovinata, perché accentua l’impressione che manchi una visione a livello nazionale e che non si sappia bene cosa fare. Sostituire le regioni all’ultimo momento con un nuovo DPCM programmato in corsa non ci farebbe uscire dall’impasse.

Prendete la querelle ridicola fra la ministra Azzolina e alcuni governatori. Roma crede di guadagnare consenso proclamando la santità della scuola (che tale non era stata ritenuta nella prima fase dell’epidemia), mentre i governatori, quasi a cascata, vanno convincendosi che l’unico modo per contenere un poco gli affollamenti sui mezzi di trasporto sia bloccare una quota della loro utenza, fra il resto quella che, complice la spensieratezza dell’età, è la meno attenta al rispetto delle norme anti Covid.

Entrambe le posizioni sono solo relativamente convincenti: quella della ministra Azzolina, perché è una intemerata astratta, quella dei governatori perché è una soluzione superficiale (teniamo i ragazzi fuori dai mezzi di trasporto nelle ore di punta, poi si vedrà). Qualsiasi persona che rifletta razionalmente sul problema si rende conto che il tema è come far convivere la necessità di evitare gli assembramenti nei trasporti con quella di garantire ai giovani la fruizione di un adeguato percorso formativo evitando al tempo stesso che liberi dall’obbligo di convivenza scolastica vadano ad assemblarsi altrove.

È qui che vengono in luce le debolezze della programmazione. Gli orari di entrata/uscita scaglionati non funzionano, perché non si è trovato modo di organizzarli col personale insegnante e ausiliario (e c’è da chiedersi quanto il variopinto ed ipercorpativo sindacalismo di quei settori abbia concorso a rendere tutto più difficile). L’insegnamento a distanza non è stato pianificato non solo in modo che i docenti fossero in grado di padroneggiare le nuove tecniche, ma anche in modo che gli studenti fossero controllabili nell’obbligo di frequenza e nell’applicazione allo studio anche davanti al computer di casa.

È la mancanza di questa pianificazione che getta un’ombra di inefficienza e superficialità su molti dei centri responsabili del caos attuale, che non usciranno certo giustificati da qualche carosello in talk show più o meno compiacenti. Abbiamo parlato di questo caso solo per prendere un esempio fra i tanti. La gente per esempio si chiede cosa sia servito comprare molti respiratori polmonari da dare agli ospedali senza accertarsi se questi avessero il personale e le strutture dove metterli e renderli utilizzabili. Altrimenti si potrebbe pensare che serviva solo a sostenere l’industria che li produce. Siamo ormai quasi a fine ottobre e dei famosi banchi monoposto, con o senza rotelle, si sa ancora poco: come mai? Aggiungiamoci la questione dell’app Immuni, dei tamponi, dei vaccini antinfluenzali e via elencando e capiremo perché la gente si sta allontanando dalla fiducia nelle istituzioni e nei partiti.

Ecco dove viene in campo la vera questione del MES. Non ci si chiede tanto se sia conveniente o meno, se davvero o no la UE dopo controllerà i nostri conti, ma si vorrebbe vedere uno straccio di piano organico, dettagliato, credibile e sostenibile finanziariamente per mettere la nostra sanità in grado di affrontare l’emergenza Covid senza per questo smettere di curare tutte le altre patologie, gravi e meno gravi, che pure hanno diritto di non essere dimenticate.

Non ci si aspetta di avere generiche rassicurazioni, ma una mappatura precisa di interventi con un calcolo preciso dei loro costi e dei loro tempi. Cosa serve per mettere la medicina territoriale in grado di intervenire in modo che tutto non si riversi sugli ospedali? Più personale, più attrezzature, una nuova attrezzatura degli studi dei medici di base, piani per l’adeguamento professionale dei medici ai nuovi compiti? E la situazione è eguale in tutto il paese, oppure dobbiamo dare un quadro che ci dica quasi comune per comune come siamo messi? Stessa cosa per gli ospedali, per l’incremento del servizio di trasporto, e per tanti altri comparti.

Ciò che manca alla credibilità del sistema di governo, in tutte le sue articolazioni che coinvolgono parlamento, partiti, governo e governi locali, è la capacità oggi di mettere in campo in maniera emblematica e di forte impatto comunicativo uno o più veri piani di intervento. Sono questi gli strumenti con cui si riaccende quella che si usava chiamare la fede pubblica, non fosse altro perché concentrerebbero il dibattito su problemi concreti lasciando perdere le perdite di tempo per cercare qualche minuto di polemica nelle conferenze stampa e nei talk show o per dilaniarsi sul tema se sia meglio candidare a sindaci qualche nano o qualche ballerina, o cercare di fare scouting trovando qualche nuovo bello guaglione/a


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Francesco Ridolfi

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