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Carlo Cosco, l’uomo che, secondo l’accusa, ha ucciso la sua ex compagna Lea Garofalo assieme ad alcuni complici sciogliendola in 50 chili di acido, non è mai stato condannato per associazione mafiosa e dunque per quella uccisione non può essere a lui contestata l’aggravante di aver agito per finalità mafiose. È il ragionamento espresso dal pm di Milano, Marcello Tatangelo, all’inizio della sua requisitoria nel processo con al centro la morte della donna che aveva collaborato con la giustizia.   La sorella e la madre di Lea, assistite dall’avvocato Roberto D’Ippolito come parti civili, hanno chiesto ‘con forza’ nei giorni scorsi al pm di contestare l’aggravante mafiosa. “L’aggravante viene contestata quando è provato il fine di agevolare l’associazione mafiosa – ha chiarito il pm oggi in aula – ma deve essere provata quindi anche l’esistenza della ‘sottostante’ associazione. E in questo caso abbiamo una sentenza che ha stabilito che tale associazione non c’era». Il riferimento è a una sentenza degli anni scorsi a carico di Carlo Cosco e del fratello Giuseppe (anche lui a processo per l’omicidio e il sequestro di Lea con altre 4 persone) su un traffico di stupefacenti con base a Milano. Il pm ha spiegato, inoltre, che la donna, scomparsa da Milano e uccisa nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, è stata ammazzata per un mix di ragioni «di odio personale e ‘onorè criminale». Il suo omicidio è stato una «’azione programmata con lucida crudeltà» e la donna calabrese – che nel 2002 entrò nel programma di protezione, testimoniando su numerosi fatti di sangue e ‘ndrangheta, per uscirne nel 2006 – «viveva con una spada di Damocle sulla testa e non era affatto una pazza come alcuni testi hanno voluto farla passare». In particolare, secondo il pm, Carlo Cosco e il fratello avevano «interesse» ad ucciderla per quello che «lei sapeva» e aveva “dichiarato» agli inquirenti rispetto all’omicidio di Antonio Comberiati avvenuto nel 1995. Per la conoscenza di questo fatto, e non per altre dichiarazioni rese agli inquirenti, Lea era agli occhi dell’ex compagno una «grave fonte di pericolo». Sta seguendo la requisitoria del magistrato anche la figlia di Lea, Denise Garofalo -19 anni e parte civile contro il padre – che “per ragioni di tutela», come ha spiegato il presidente della Corte d’Assise Anna Introini, si trova ‘nascostà in un corridoio tra l’aula e la camera di consiglio. La requisitoria dovrebbe concludersi domani, con le richieste di condanna. 

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