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di PARIDE LEPORACE

Bene ha fatto la Fiom a volantinare ieri ai cancelli di Melfi l’esito della sentenza d’appello che ha reintegrato nel posto di lavoro i tre operai accusati nell’ambito di uno sciopero di un molto presunto sabotaggio. Comunicazione da vecchi tempi per tamponare l’occultamento imposto all’esito giudiziario. Gli operai che lavorano a Melfi, ai quali la casa madre omaggia del giornale di famiglia, “La Stampa”, hanno avuto difficoltà a trovare la notizia ieri essendo stata confinata nelle pagine di economia.

Guarda caso la stessa scelta del direttore Mario Calabresi l’hanno compiuta con eguale collocazione il torinese Ezio Mauro, direttore di Repubblica, e il milanese Ferruccio De Bortoli con il Corriere della Sera. A via Solferino l’hanno fatta più sporca di quello che già rappresenta un occultamento mediatico.
Non dimentichiamo che la sentenza di Potenza era strettamente collegata al tema politico di giovedì, ovvero riforma del lavoro e articolo 18. Ieri mattina ci siamo ritrovati a leggere un’intervista scoop del Corsera a sua immensità Sergio Marchionne che occupava per intero le pagine due e tre. Nonostante la firma di Massimo Mucchetti, giornalista spesso ospite all’Infedele di Lerner, è risultato marchiano il fatto che un’intervista così significativa non si sia posto il problema di citare una notizia di giornata sicuramente importante per Fiat e per il manager che ha deciso quella contesa. Non mi permetto di giudicare se Mucchetti sia stato troppo chinato con il padrone Marchionne, anche se non manca chi lo sostiene ( Dagospia ieri ha scritto a proposito: “la colpa è più del giornalista-guru che evita di incalzarlo e sembra avere dei vuoti di memoria”) ma è sicuramente grave che il più autorevole giornalista economico del Corriere occulti la notizia di Melfi.
Senza metterci troppo a dietrologizzare su quello che non conosciamo, una questione sembra evidente: Sergio l’astuto, fresco di sostegno a Bombassei e Monti, decide nel giorno della sentenza di Potenza di far sapere a sindacati e politica che la legge la detta lui. Evito l’esegesi di un’intervista enorme per spazio e complessa per i temi che solleva. Osservo che Marchionne fa sapere che “la sinistra piu’ intelligente ha provato a ricucire” con la Fiom. Evidente tattica per meglio dividerla. E poi l’ultimatum guerrafondaio. Ben assestato con metafora cinefila accompagnata da “La scelta di Sofia”. Gli stabilimenti italiani staranno al loro posto, però dobbiamo lavorare in modo competitivo per il mercato americano, “ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività”. Quale sarà la scelta dolorosa di Sergio che ci dipinge gli stabilimenti come i figli della celebre Sofia interpretata da Meryl Streep?
Proviamo a sfogliare la margherita delle eventuali dismissioni. Pomigliano è un riconosciuto modello di organizzazione marchionnista. La Sevel di Atessa è una compartecipata con marchi francesi e la produzione Ducato va bene. Nel cono d’ombra finiscono la molto simbolica e torinese Mirafiori, la poco affidabile Cassino e la nostra Melfi. In Basilicata la Fiat-Sata ha buona produttività, ma ha anche una Fiom che non demorde. Pur non essendo forte e prevalente nelle linee la battaglia giudiziaria produce preoccupazioni al manager con la barba.
La sentenza di Potenza su Melfi s’incrocia con il risarcimento miliardario concesso alla Fiat da un altro giudice per un servizio del giornalista Formigli, ma interseca anche gli operai fannulloni e ladri della Mercegaglia, la validità dei contratti, l’unità sindacale. E le notizie, come era prevedibile, dimostrano che lo scontro resta aperto. La Fiat fa sapere che non ha alcuna intenzione di far rientrare in fabbrica i tre operai reintegrati. Come accadde già in passato pagherà lo stipendio ma non permetterà che ritornino a lavorare nelle linee. Rispetto alla prima sentenza, ora i due delegati della Fiom non possono neanche rientrare nel locale interno della Rsu perché non più riconosciuti dai nuovi accordi aziendali. Materiale per gli avvocati della Fiom che già annunciano battaglia e minacciano di presentarsi con l’ufficiale giudiziario per costringere Fiat a rispettare la sentenza emessa dal tribunale potentino. A guardare le reazioni lucane su questo conflitto di non poco conto, sembra che i fatti narrati siano avvenuti negli opifici americani gestiti da Marchionne piuttosto che tra la fabbrica del Vulture e il tribunale del capoluogo della Basilicata.
Come dar torto a Paolo Pesacane di Sel che, a sentenza scritta, ha detto: “Da domani vorremmo che il centrosinistra lucano tornasse a discutere seriamente della Fiat e delle condizioni di lavoro nella piu’ grande fabbrica del Mezzogiorno”. Quel centrosinistra lucano che ha sempre da discutere sul potere da dividere ignorando le questioni nodali del lavoro. Il regesto è molto semplice. L’inchiesta giornalistica della collega Labanca quali orecchie della politica lucana ha raggiunto? Poche e sparse. Abbiamo dovuto oltrepassare i confini regionali per mettere in campo la voce autorevole del governatore della Puglia a sostegno di chi viene minacciato tra le linee per la difesa di diritti. Abbiamo svelato una Sata degna di Valletta che ha acceso l’interesse di pochi consiglieri regionali. E se sedici sindaci dell’area di Melfi firmano un documento pro operai perché manca quella del comune principale? Forse il socialista Valvano è un emulo di Sacconi e di Brunetta?
De Filippo che apprezza Marchionne ci farà mai sapere qualcosa sul centro di ricerca? E il presidente Folino che in scioperi recenti stava nello spezzone della Fiom ha dimenticato quegli sciagurati compagni di strada? Capiremo meglio a marzo al dibattito organizzato a Potenza da Fiom e Cgil lucana, dibattito che annuncia il confronto tra Landini, Lacorazza e il marchionnista De Filippo.
Mentre la sinistra italiana si scaldava per la sentenza di Potenza con plausi da Bindi a Marco Rizzo, in Basilicata si faceva notare il senatore Belisario che non molla la presa per ruolo e posizione assegnata da Di Pietro. Roberto Speranza, che frequenta stanze nazionali, anche se nella tarda sera di giovedì, insieme al laburista Fassina (nome che conta molto in queste vicende) ha fatto sapere a Marchionne che: “La Fiat dovrebbe riflettere sulla sua cultura aziendale e convincersi che, anche “dopo Cristo”, i diritti sindacali dei lavoratori vanno rispettati per coerenza con la civiltà europea del lavoro e per il successo dei suoi prodotti”. E questo è già qualcosa. Ieri ha emesso anche un flebile cinguettio il doroteo Vincenzo Viti che in un comunicato di pochi caratteri ha fatto sapere: “La sentenza della Corte d’Appello di Potenza non va solo rispettata, ma utilizzata per sviluppare quel clima di cooperazione ch’è il luogo di coltura propizio sia alla tutela dei diritti che allo sviluppo di corrette relazioni industriali “. Tra Confindustria che si schiera contro il candidato di Marchionne e un centrosinistra senza politica industriale la vicenda di Melfi sembra una storia marziana di fantascienza. Invece è vicina a noi e riguarda noi tutti. Questa è l’amara riflessione rispetto alla vittoria giudiziaria della Fiom e al reintegro di tre operai che da anni lottano per difendere diritti e posto di lavoro.

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