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di DOMENICO LOGOZZO
Le donne vittime della sopraffazione maschile, di ieri e di oggi. Il direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza, bene ha fatto nel proporre di dedicare alle donne vittime della mafia la festa dell’8 marzo. Privazioni, umiliazioni e violenze psicologiche che purtroppo vengono da troppo lontano. Ce le ricordano due grandi giornalisti e scrittori, Enzo Biagi e Corrado Alvaro. «Uno scrittore americano che percorreva giorni fa la Calabria si fermò, con la sua enorme macchina, a un crocevia verso Nicastro. Trovò una giovane donna sola e le chiese la strada. Ella rispose soltanto: “Sono sposata da una settimana”. Alle insistenze di lui, ella oppose, senza levare gli occhi, la medesima risposta. E qui si apre un discorso sulla condizione dell’uomo nell’attuale società calabrese». Una condizione di pesantissimo condizionamento delle donne che non dovevano dare “confidenza” ai forestieri. Questa, purtroppo la realtà raccontata nel giugno del 1948 da Corrado Alvaro. Dalle donne succubi alle donne “vendicatrici”. Enzo Biagi, nel libro “Cara Italia” del 1998, scriveva: «C’è la Calabria delle faide, dei traffici proibiti: armi, droga, dei rapiti che spariscono nella Locride, degli appalti e della sporca politica. A Oppido: abitanti 5.400, sette chiese, nessun teatro, niente cinema, scoppia nel 1992 la guerra tra la famiglia Gugliotta, legata ai clan dei Barrigo e dei Tallarita, e quella degli Zumbo. La posta: controllo del territorio, che vuole dire il potere delle estorsioni. C’è un rituale barbarico che prepara la vendetta: Rita Tallarita, sulla via di Oppido dove hanno accoppato il marito, si cosparge col sangue del morto. Sarà fatta pagare…»
Nel 2012 non può essere ancora così. Non dovrà essere più così. La proposta del direttore del Matteo Cosenza, è certamente un segnale preciso per giungere ad una svolta reale. Le mimose debbono essere quelle del riscatto. Di mafia si muore dentro, psicologicamente annullando i sentimenti umani, e si muore purtroppo anche fisicamente. Debbono sbocciare le mimose della legalità, del riscatto delle donne calabresi! Meno parole. Più fatti. Maggior sostegno a chi decide di uscire dall’orrenda e mostruosa prepotenza mafiosa. Non sarà facile cambiare vecchie, consolidate e aberranti “abitudini”. Maria Concetta, Lea e Giuseppina hanno pagato a caro prezzo la scelta di passare dalla parte della legalità. Lea sciolta nell’acido. Maria Concetta “suicida” con l’acido, dopo le pressioni e le vessazioni subite dai familiari per indurla a ritrattare e non collaborare più. Ed il Procuratore aggiunto Michele Prestipino ha opportunamente osservato che queste azioni di “induzione” al suicidio «sono il segno evidente di quanto la’ndrangheta tema che questo percorso possa essere intrapreso da altre donne calabresi». Azione “punitiva” per impedire che il fronte si allarghi. Ma si deve fare di tutto per far aumentare il numero di collaboratrici di giustizia. Le donne sono determinanti per scardinare le organizzazioni delinquenzaili che imperversano in Calabria.
Maria Concetta, Lea, non sono morte invano. Il loro sacrificio deve essere onorato l’8 maggio in tutte le sedi istituzionali della regione, ma soprattutto nelle scuole. Deve essere la giornata delle “donne vittime della mafia”. Non una semplice ritualità. Ma una forte presa ci coscienza. Coinvolgere i magistrati, le forze dell’ordine, i giornalisti in prima fila contro le cosche, perciò più volte minacciati, gli uomini illuminati di cultura, i sindacalisti (la Cgil si è già mobilitata tespestivamente), le istituzioni che debbono dare un chiaro e netto segnale di discontinuità. Tagliare tutti i tentacoli. Ai giovani va spiegato che non conviene seguire gli esempi delle famiglie mafiose, ma debbono attuare le lezioni di legalità che vengono dagli insegnanti e dalle donne coraggiose, che vogliono per i loro figli un futuro di libertà e di onestà. Senza più delitti, senza più faide, senza più ingerenze e prepotenze del crimine organizzato nella vita civile. Contano, le donne contano. E per questo gli uomini temono che seguendo l’esempio di Maria Concetta, Lea e Giuseppina, il fronte si possa estendere pericolosamente. Basta con la connivenza. Basta con la sottomissione. Far scattare le manette a chi è contro la legge. Ma lo Stato deve essere presente e difendere chi collabora e chi agisce contro la mafia. Intanto il “Quotidiano”, che due anni fa nella città più infestata dalle cosche, Reggio Calabria, riuscì a portare in piazza migliaia di giovani per dire “no alla mafia” sta dando un altro buon esempio di informazione che “denuncia e propone”. Tre mimose col profumo della legalità, che non appassiranno mai nei cuori dei calabresi buoni e onesti!
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