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di MIMMA IANNELLO
Gentile Direttore, nel suo editoriale di giovedì scorso “Tre donne di coraggio, simbolo dell’8 marzo”, offre una chiave di lettura potente del valore che assume oggi il “protagonismo” delle donne nell’azione di contrasto alla ’ndrangheta. Una forza straordinaria, dirompente, che da gocce di un oceano può divenire una tempesta che spazza il fango dentro cui muove la criminalità per abbeverare il terreno su cui seminare una nuova cultura di ribellione all’ineluttabilità criminale della nostra terra. Oggi più che mai va colto ed accompagnato il Suo accorato appello a che non si sperda il sacrificio di Maria Concetta, di Giuseppina e di Lea nel rompere gli schemi tradizionali delle affiliazioni mafiose che permeano la loro forza nei legami familiari, oltre che negli interessi economici e finanziari. Maria Grazia, Giuseppina e Lea, sono testimonianza di quanto nelle cosche possa diventare dirompente la ribellione ad una “affiliazione per nascita” che macina sogni, il diritto ad una vita normale, ad una famiglia dove figli, mariti, genitori possano essere nutriti da semplici affetti anziché da faide, soprusi, morti violenti, latitanze, calpestio delle leggi. Maria Concetta, Giuseppina e Lea sono, fuori ogni strumentale interpretazione delle loro vicende, 3 donne vittime ma allo stesso tempo simbolo di una Calabria che guardando ad esse può e deve trovare il coraggio per una battaglia più convinta, profonda ed efficace alla mala pianta della ‘ndrangheta. Troppi pezzi di istituzioni, troppa politica, troppa cultura, troppa impresa, troppo vivere quotidiano è borderline con figure ed economie criminali. C’è una Calabria con troppe bende agli occhi. Occorre squarciare quelle bende e quel buio, così come hanno provato a fare Maria Concetta, Giuseppina e Lea. Altre donne forse non trovano quel coraggio e vanno aiutate, hanno bisogno di saper che non saranno sole se troveranno la forza di compiere scelte che le riscattino da una vita segnata. Dobbiamo aiutarle perché il loro coraggio serve a loro quanto alla crescita di una sana convivenza civile e democratica delle nostra regione. Avremmo potuto come CGIL dedicare la giornata dell’otto marzo ad una moltitudine di temi di genere, fra questi, quello delle donne vittime di malasanità, delle donne sole in un sistema di welfare che si contrae scaricando su di esse l’assenza di servizi all’infanzia e di cura, delle donne prive di opportunità di lavoro, con sempre meno diritti, delle donne impegnate con coraggio nelle istituzioni locali. Aver optato, come ha già annunciato su queste pagine il nostro segretario regionale Michele Gravano, di dedicare l’8 marzo calabrese alle donne che sacrificano la loro vita per liberarsi da una condizione segnata alla nascita dalla ‘ndrangheta, è il segnale della nostra organizzazione ad aprire quante più coscienze femminili verso un’assimilazione più autentica e divulgatrice del valore di quel coraggio nella battaglia collettiva contro ogni mafia. Siamo come Lei convinti che quelle crepe aperte possono divenire, insieme alle buone pratiche antimafia che vanno crescendo nella regione, la voragine che scompagina equilibri di affiliazione che rendono ancora più vulnerabili le cosche calabresi all’azione di contrasto portata avanti in questi ultimi tempi con grande efficacia dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura. In questa direzione la CGIL calabrese è impegnata quotidianamente ed ancor di più, a dare senso profondo ad una giornata che seppur di festa e di spensieratezza, deve provare a riappropriarsi della forza di approfondimento come le donne sanno fare.
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