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Dieci candeline, un miliardo di utenti attivi, cinquecentomila stories al giorno: Instagram festeggia il suo decimo compleanno con numeri da capogiro. Il 6 ottobre 2010 nasceva il social contrassegnato da una piccola Polaroid, un mondo che a poco a poco si è colorato di foto, contenuti e un target di utenti giovanissimo, il vivaio più prolifico per i nuovi influencers.
Come per tutte le versioni primordiali di un progetto, anche i primi vagiti digitali di Instagram risultavano insufficienti man mano che il bacino di utenza si allargava. Ingolosito dal social network con la Polaroid, Mark Zuckerberg, già amorevole papà di Facebook, decise di adottare anche Instagram, acquistandolo per la modica cifra di un miliardo di dollari. Iniziò da qui l’ascesa di Instagram che, da ballerina di periferia, ben presto diventa l’étoile del web: ma cosa è davvero cambiato nella piattaforma? Zuckerberg l’abbellisce con i filtri e le stories, vera e grande novità entrata a gamba tesa a cavallo tra il 2015 e il 2016: contenuti video e foto da condividere con i propri followers per la durata di 24 ore e, in più, numerose (e apprezzatissime) modifiche al formato delle foto da caricare nelle proprie gallerie e la possibilità di postare video che durano fino a un minuto, e non pochi secondi come accadeva prima della rivoluzione Zuckerberghiana.
Ma non basta: Instagram ha smesso di essere un mero contenitore di fotografie e aspira a diventare l’anello di congiunzione tra un appassionato di fotografia e uno di moda. Vengono introdotti i “direct”, vale a dire le chat o meglio, i messaggi privati, e ben presto nasce anche la “IG TV”, sezione in cui caricare video che durano anche un’ora: un tripudio per gli influencers che non devono più rispedire i fans alle proprie rispettive pagine Facebook per essere seguiti a lungo.
Carrie Bradshaw in “Sex and the City” si chiedeva dove va a finire l’amore una volta che è finito; gli utenti Instagram, invece, si sono chiesti a lungo dove andassero a finire le stories una volta scadute le 24 ore. Forse si è pensato che anche i ricordi brevi dovessero avere un posto nei feed degli utenti, così è arrivata anche la possibilità di ripescare le stories postate dal proprio apposito archivio e metterle “in evidenza”. In pratica è possibile creare dei piccoli album da personalizzare e catalogare, contenenti alcune tra le stories preferite degli utenti: vacanze, compleanni, momenti speciali, concerti: Instagram diventa così la memoria digitale di ciascuno di noi.
E per chi storce il naso di fronte alla prospettiva che un social possa “derubare” la nostra vita dei ricordi più speciali, bisogna far presente che – per giocare con un usato modo di dire, in rete ma non solo – “Instagram ha fatto anche cose buone”: tantissime sono state le campagne solidali nate proprio con gli hashtag, parole o frasi chiave che accompagnano Instagram sin dai suoi albori e che caratterizzano i contenuti. Tanto per fare qualche esempio, durante il durissimo periodo del Covid-19 che ha messo in ginocchio le attività commerciali, è partito a razzo l’hashtag #iostoconiristoratori, supportato e condiviso da oltre 80 influencers (che hanno pubblicato oltre 240 stories) e che si pone come obiettivo quello di innovare il settore della ristorazione, sfruttando le potenzialità dell’impresa digitale. Anche Medici Senza Frontiere e il WWF si sono adoperati per rendere più appetibili i propri contenuti e sensibilizzare il pubblico di Instagram alle cause più nobili, come la tutela del pianeta o le attività più significative svolte da medici e infermieri nei luoghi più poveri del mondo. L’intuizione, indubbiamente, è immediata e sfrutta tutto il potenziale della piattaforma: quale migliore piazza di un social network con un miliardo di utenti per postare dei contenuti volti alla sensibilizzazione o alla diffusione di una notizia?
Ma come nello Yin e Yang, esiste anche la “dark side” di Instagram, e fa spesso capolino tra incidenti diplomatici, foto troppo intime postate per sbaglio da attori famosi e insidie di ogni genere, soprattutto per i più giovani. Instagram è a tutti gli effetti una vetrina, e le vetrine espongono i prodotti migliori: il rischio, tra modelle e influencers magrissime e bellissime, è che l’ondata emulativa da parte dei giovanissimi utenti di Instagram possa diventare patologica, che si sfiorino fenomeni come quelli dei disturbi alimentari e che tutti i buoni propositi di utilità del social finiscano per essere assorbiti dal fattore “apparenza”, che inevitabilmente è la sua caratteristica di punta. Amleticamente dobbiamo chiederci: ridurre o non ridurre l’uso di Instagram? Questo è il dilemma. Che poi, in realtà, così dilemma non è, perché ad Amleto risponde Asclepio che, come per qualunque fàrmakon – termine greco dal doppio significato di “medicina” e “veleno” – consiglierebbe di assumerlo a piccole dosi e senza abusarne.
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