L'arbitro Doveri all'Allianz Stadium regolarmente aperto per la partita Juventus-Napoli (Foto LaPresse - Tano Pecoraro)
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Asl Napoli batte Italia 1-0. Il gol lo ha messo a segno Lucia Marino, la dirigente che ha firmato la lettera della Asl napoletana. Ma poteva segnarlo anche qualsiasi altro dirigente di una delle 101 Asl che sono spalmate sul territorio nazionale. Non ci sarà perciò nessuna vittoria a tavolino. O meglio, non ci sarà nessuna sentenza in grado di rovesciare un verdetto che con il campionato di calcio non c’entra ma è sotto gli occhi di tutti. Una Asl può fermare un governo. Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio sul nostro modello sbagliato, sulla frammentazione della deriva regionalista, eccolo servito.
IL GOL DELLA DOTTORESSA
La dottoressa Lucia Marino, direttrice del Dipartimento di prevenzione Napoli 1, ha deciso in piena legittimità e autonomia che il governo può firmare un protocollo dopo una lunga ed estenuante trattativa. Può mettere d’accordo i vari ministeri e, soprattutto, i vari ministri, compresi Dem e 5Stelle che passano il tempo a litigare tra loro. Può raggiungere un’intesa con la Lega calcio, un sodalizio di presidenti litigiosi e in perenne conflitto. Può ottenere il consenso dei calciatori, una specie talmente protetta che qualcuno dinoi vorrebbe conservare sotto una campana di vetro. Può ottenere persino il via libera di chi trasmette in esclusiva o quasi le partite di calcio, milioni e milioni di diritti televisivi che ballano. Può persino riuscire a far dire per due volte la stessa cosa al ministro con delega allo Sport, Vincenzo Spadafora, l’ex spin doctor di Luigi Di Maio, uno che generalmente passa il tempo a cambiare idea sulle cose e sul mondo. E non basta. Il governo era riuscito anche nell’impresa impossibile. Riuscire a far sì che esperti e virologi del Comitato tecnico scientifico per una volta dicessero la stessa cosa. Uno sforzo titanico.
IL PRIMO EFFETTO DEI SUPER GOVERNATORI
Bene. Si può ottenere tutto ciò. Ma tutto questo può svanire in un attimo, dando un senso di impotenza assoluto. Basta che una delle tante Asl d’Italia decida di tagliare l’erba sotto i piedi al governo. E poco importa se l’impulso iniziale sia venuto dal presidente del Napoli, De Laurentiis, uno che aveva partecipato febbricitante a un’assemblea di Lega motivando la propria alta temperatura alle ostriche e invece aveva il Covid. Non importa neanche se la squadra del Napoli aveva apertamente sostenuto alla vigilia delle elezioni regionali il super governatore De Luca con uno spot, facendo infuriare gli altri candidati. E non importa che sull’altro fronte si lancino strali in direzione opposta, come fa l’avvocato ed ex parlamentare Maurizio Paniz, presidente dello Juventus club Parlamento, invitando tutti al rispetto delle regole. Il punto non è questo. Il punto è che la questione federalista non è uno scontro tra tifosi avversi, Nord contro Sud. È lo scontro tra chi vuole cambiare un modello che non funziona più, messo in crisi dal primo che alza una mano, e chi invece lo vorrebbe immutato. Il vento tira in senso contrario. Il consenso raccolto da certi governatori alle ultime elezioni ha già prodotto due risultati ed è destinato a ritardare una riforma amministrativa della spesa pubblica, non in senso più centralista ma semplicemente più moderno. Al nord la vittoria di Luca Zaia ha rilanciato la spinta secessionista e il tema delle autonomie, che era finito in un angolo, specie dopo i disastri della sanità lombarda. In Campania ha alimentato l’ego già smisurato dello sceriffo De Luca. Siamo solo agli inizi del 2° round, con la prospettiva di altri provvedimenti emergenziali. Il vice-ministro della Salute, Pierpaolo Sileri, lo ha ammesso candidamente: «Se la Asl di Napoli lo ha deciso, questo vuol dire che ha fatto un racconto anamnesico tale per cui ha dato questa indicazione, non c’è nessun altro che può dirlo».
RIECCO LA CONFERENZA STATO-REGIONI
E il protocollo? Deve essere rivisto. Non è passato al vaglio della Conferenza Stato-Regioni. E poiché le competenze dello Stato in materie di sanità si fermano ai Lea, ovvero all’indicazione dei livelli minimi assistenziali e per tutto il resto fanno capo agli enti locali, ecco che a decidere saranno loro. Venti Regioni, 20 stati diversi. Anche in caso di stagione pandemica. Il vulnus è tutto qui. Ci sarebbe – ricordiamo sommessamente – l’articolo 120 della Costituzione, sia pure schiacciato da un regionalismo all’italiana. Recita così: «Il governo può sostituirsi a organi della Repubblica, delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e, in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». La cosiddetta clausola di supremazia. Poi arriva una Asl, qualunque essa sia, e il governo perde la sua partita.
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