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UN RECENTE studio dell’Agenzia per la Coesione territoriale analizza, sulla base dei Conti Pubblici Territoriali (CPT), la distribuzione regionale delle spese per la sanità (vedi: «La spesa in sanità: i dati CPT per un’analisi in serie storica a livello territoriale», di Manuel Ciocci e Francesca Spagnolo).

Per tranquillizzare coloro che non amano il ricorso alle cifre relative al perimetro più ampio della spesa pubblica, il Settore pubblico allargato (SPA – che include anche le imprese pubbliche nazionali e locali) diciamo subito che la spesa considerata è essenzialmente quella della Pubblica amministrazione (PA): le spese per la sanità sono fatte per il 97% circa dalle Regioni (e le cifre qui presentate coprono la spesa primaria, cioè esclusi gli interessi).

Il Grafico A mostra i livelli, in termini di euro costanti pro-capite per ogni regione e per le cinque ripartizioni geografiche (Nord-Ovest, Nord Est, Centro, Meridione, Isole). Come si vede, si conferma il ruolo di “parente povero” del Sud d’Italia.

Una povertà, questa, che è di tanto più importante per una funzione di spesa come quella della sanità, da sempre centrale ma cruciale in questa crisi che sta mettendo a dura prova il sistema sanitario italiano. Nel “quasi-ventennio” dal 2000 al 2018 le cose non sono cambiate molto, come si vede: i livelli di spesa per abitante erano più bassi nel Mezzogiorno all’alba del secolo e del millennio, e continuano a essere più bassi oggi.

Ma – qualcuno dice – il livello dei prezzi è più basso al Sud, e quindi quella spesa vale di più. Insomma, questo più basso costo della vita (che la Banca d’Italia ha quantificato in circa il 10%, tenendo conto dei fitti effettivi) vorrebbe dire che lo stipendio di medici, infermieri e portantini – che, a parità di mansioni, è ovviamente identico in tutte le zone del Paese – “vale” di più nel Mezzogiorno.

Qui si innestano sottili questioni di metodo e di concetto. Ora che abbiamo imparato a distinguere fra Pil e benessere, è legittimo dire che un dato stipendio “vale” di più, se altri elementi del benessere – qualità dei servizi pubblici, sicurezza, mobilità… – scarseggiano? E in ogni caso, il livello dei prezzi di cui si parla è quello del costo della vita. Ma la spesa non è fatta solo di stipendi: è fatta anche di investimenti, di acquisti di beni e servizi (che per la sanità coprono più dei due terzi della spesa): il costo dei camici per medici e infermieri o il costo di una macchina per le radiografie è davvero più basso al Sud? Non abbiamo i dati per calcolare “parità di potere di acquisto” che coprano tutte le sfaccettature della spesa sanitaria.

Come si vede dal Grafico A, dal 2000 al 2018, gli euro per abitante della spesa per la sanità sono aumentati in tutte le ripartizioni regionali, pur lasciando il Mezzogiorno negli ultimi posti della classifica. Ma forse la distanza fra Nord e Sud si è ridotta? Se guardiamo alla dinamica, invece di guardare ai livelli, c’è stato un restringimento del divario? Ahimé, no. Il Grafico B mostra come l’aumento (in volume) della spesa sanitaria è stato nettamente più elevato nel Centro-Nord rispetto ai “parenti poveri”: il divario si è allargato. Guardando a quella parte – purtroppo modesta – della spesa sanitaria che sono gli investimenti (ospedali, macchinari, attrezzature…), le evidenze sono anch’esse desolanti per il Mezzogiorno. La tabella mostra – in termini di euro costanti per abitante nel 2018 – gli investimenti per regione.

Come si vede, nella media delle regioni meridionali gli investimenti sono poco più della metà rispetto ai livelli del Centro-Nord. Le cose vanno un po’ meglio se si escludono, sia al Centro-Nord che al Sud, le regioni e province a statuto speciale. Ma la minorità del Mezzogiorno – evidentemente figlio di un dio minore – rimane. Ora, se parlassimo – e non solo per la sanità ma in generale – di spese e investimenti privati, la minorità sarebbe comprensibile. Il Mezzogiorno è un’area più povera del Centro-Nord, ed è normale che chi ha più reddito spenda di più. Ma la musica cambia quando si parla di spesa pubblica. La Costituzione, all’articolo 3, sancisce che “…È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. E per questo che finalmente, nell’anno di grazia 2009, il Parlamento varò una legge per stabilire i Lep – “Livelli essenziali di prestazioni” – livelli che avrebbero dovuto fissare un congruo numero di parametri minimi a valere su tutto il territorio nazionale: per esempio, in termini di letti di ospedale, addetti ai servizi sanitari, metri quadrati di spazio scolastico, posti in asili nido… il tutto espresso per 100mila abitanti. Ma sono passati più di dieci anni da allora, e nulla è stato fatto in proposito. E le cifre nude e crude continuano a riflettere questa secolare iniquità.


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