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ROMA (ITALPRESS) – Un nuovo biomarcatore potrebbe rappresentare un indicatore di rischio per le forme gravi di Covid-19. Si chiama calprotectina fecale e il suo dosaggio aiuterebbe dunque a individuare e a attenzionare i pazienti più a rischio sin dal momento della diagnosi. Una lettera appena pubblicata su Digestive and Liver Disease rivela infatti che la presenza di elevati livelli di calprotectina fecale si associa a forme più aggressive di infezione polmonare da SARS CoV-2, in particolare negli uomini.
Autrice della lettera è Veronica Ojetti, responsabile UOS Organizzazione delle procedure in emergenza urgenza del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ricercatore di Medicina Interna all’Università Cattolica, campus di Roma.
L’idea di dosare i livelli di questo marcatore di infiammazione intestinale, per valutarne la correlazione con la gravità della malattia, nasce dall’osservazione che molti pazienti con COVID-19 presentano sintomi gastrointestinali, in particolare diarrea. L’interessamento intestinale del COVID-19 è dovuto al fatto che a questo livello sono particolarmente numerosi i recettori ACE-2, che rappresentano la porta d’ingresso del virus nelle cellule.
La calprotectina è una proteina prodotta da un tipo particolare di globuli bianchi (i neutrofili) e segnala la presenza di un danno a carico della mucosa intestinale. Il suo dosaggio si effettua su un campione di feci. E’ un esame di facile esecuzione, reperibile presso numerosi laboratori.
“Trovare la calprotectina nelle feci – spiega la gastroenterologa Ojetti – è indice della migrazione dei neutrofili nell’intestino e quindi dell’instaurarsi di un processo infiammatorio. La novità di questo studio è che un elevato livello di calprotectina delle feci, anche al momento della diagnosi di COVID-19, può rappresentare un fattore predittivo di una maggior aggressività della malattia, in particolare a livello polmonare (polmonite da SARS CoV-2)”.
“Dunque – aggiunge – monitorare la calprotectina fecale può aiutare il medico a valutare una possibile evoluzione della malattia in senso peggiorativo”.
I sintomi gastrointestinale nel COVID-19 sono la diarrea, vomito e dolori addominali. Nello studio realizzato al Gemelli, su 65 pazienti, uno su 4 presentava sintomi gastro-intestinali che correlavano con elevati livelli calprotectina. “Questi sintomi – prosegue Ojetti – compaiono spesso prima dell’interessamento polmonare. Quindi i pazienti con sintomi gastrointestinali e elevati livelli di calprotectina andrebbero considerati a rischio di sviluppo di una malattia polmonare. Il livello di rischio aumenta quando i livelli di calprotectina fecale superano i 50 mcg/gr. Dallo studio sono stati esclusi pazienti con malattie infiammatorie intestinali (che hanno elevati livelli di calprotectina legati alla loro malattia di base), pazienti oncologici o con cardiopatie e nefropatie gravi”.
“I risultati del nostro studio, al quale hanno contribuito gli infettivologi Massimo Fantoni e Rita Murri e le dottoresse Eliana Troiani e Teresa De Michele dell’UOC di Chimica, Biochimica e Biologia Molecolare Clinica, diretta dal professor Andrea Urbani, sono molto promettenti ma andranno confermati da ulteriori studi, anche effettuati nel corso del follow up del COVID-19”, conclude Ojetti.
(ITALPRESS).

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