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E’ DURATA più di due ore ieri mattina la discussione della difesa del patron del Potenza Sport Club Giuseppe Postiglione, rappresentato dall’avvocato Donatello Cimadomo, davanti al gup Rosa Larocca che dovrà decidere sulle richieste di rinvio a giudizio per gli imputati dell’indagine sulla calcio-connection tra sport e malavita all’ombra del Viviani. Sempre ieri il pm ha avanzato le richieste di condanna per quelli che hanno optato per il rito abbreviato. Se ne riparlerà il prossimo 23 febbraio quando sono attese le prime sentenze. Nella sua lunga e appassionata arringa l’avvocato Cimadomo non si è sottratto al tema scottante del processo: le dichiarazioni del boss Antonio Cossidente, arrestato a dicembre del 2009 con il suo assistito e passato nella schiera dei collaboratori di giustizia dieci mesi più tardi ammettendo gran parte degli addebiti sul suo conto. «E’ un eco». Ha tuonato Cimadomo. «Ripete quello che ha sentito. E’ come la ninfa condannata a ripetere la voce altrui». E ha fatto riferimento alle contraddizioni già evidenziate nel suo racconto dal gip Gerardina Romaniello, a proposito di una delle armi utilizzate per il delitto dei coniugi Gianfredi. Cossidente aveva parlato di calibro 9, ripetendo un refuso finito per errore nell’ordinanza di arresto emessa nei suoi confronti nel 2004. Perciò il pentito – secondo Cimadomo – ripeterebbe argomenti appresi qua e là senza conoscenza diretta dei fatti, più per accreditarsi come testimone che altro. Una stoccata Cimadomo l’ha riservata anche a un altro degli imputati del processo, il consigliere regionale Luigi Scaglione, accusato di concorso esterno. «Chi è partecipe e chi è un concorrente esterno?» Si è domandato l’avvocato che ha esibito il testo della conversazione tra Scaglione e il boss Cossidente prima dell’arrivo di Postiglione all’incontro in cui si sarebbe parlato del progetto di un nuovo stadio cittadino. Una parte di quel colloquio sembra che non fosse stata trascritta prima e metterebbe meglio in luce l’accordo tra i due a scapito di Postiglione. Da ultimo Cimadomo ha eccepito l’inutilizzabilità delle intercettazioni e la regolarità delle scommesse imputate al giovane patron dal momento che le partite non avrebbero segnalato anomalie nelle puntate, e andrebbe pur sempre considerato il valore probatorio della fotocopia di una bolletta giocata rispetto al rischio dell’ennesima contraffazione. Tornando agli abbreviati il pm Francesco Basentini ha chiesto una condanna a 4 anni per il boss pentito, 6 anni e 4 mesi per il suo luogotenente Michele Scavone, 5 anni e 4 mesi per Alessandro Scavone, due anni per l’ispettore di polizia Giuseppe Botta e un anno per il vice sovrintendente Marino Ianni.

l.amato@luedi.it

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